Berlusconi e Renzi si schierano con Marchionne

Chissà se nella discussa cena del dicembre scorso, quando il premier accolse il sindaco di Firenze nella residenza privata di Arcore, Matteo Renzi e Silvio Berlusconi trovarono il tempo di discutere anche del mondo del lavoro e dei progetti di Fiat, che già occupavano le prime pagine di molti quotidiani.
Certo è che entrambi, nelle ultime ore, hanno speso tutta la loro visibilità per sostenere l’amministratore delegato del Lingotto Sergio Marchionne, impegnato nella crociata di Mirafiori, contro la Fiom e tutti i vincoli posti dalla Costituzione e dal principio di “utilità sociale” dell’impresa.

“E’ assolutamente positivo – ha spiegato il Presidente del Consiglio in occasione della conferenza stampa congiunta con Angela Markel – lo sviluppo della vicenda con la possibilità di un accordo tra sindacati e azienda per una maggiore flessibilità nei rapporti. Molto positiva per una maggiore flessibilità del lavoro“.
“Se non accadesse – ha concluso – le imprese e gli imprenditori avrebbero buone ragioni per spostarsi all’estero“.

Meno sfrontato, ma sostanzialmente concorde nel merito, l’intervento di Matteo Renzi, già noto per essersi espresso a favore dell’apertura degli esercizi commerciali anche in occasione della Festa del Lavoro del Primo Maggio.
“Io sto dalla parte di Marchionne, – ha argomentato il sindaco, intervistato dal Tg LA7 – dalla parte di chi sta investendo sul futuro delle aziende, quando tutte le aziende chiudono, e’ un momento in cui bisogna cercare di tenere aperte le fabbriche”.
“Anch’io vorrei garanzie sul futuro e sul diritto dei lavoratori. – ha continuato con un intervento sulla propria bacheca di Facebook – Ma se non faccio niente per tenere aperte le fabbriche al massimo posso parlare delle garanzie dei licenziati, non dei diritti dei lavoratori”.

Le convergenze fra Berlusconi e Renzi, al di là della loro oggettiva pericolosità per la tenuta dei valori fondanti della Repubblica stessa, lasciano intravdere, a poche ore dall’apertura delle urne a Mirafiori, il peso storico e politico che per il nostro Paese assumerà questo referendum.
E’ evidente, al di là del teatrino bipolare che obbliga a parlare ancora di “destra” e “sinistra”, e al di là pure del fenomeno “Berlusconi” che in ogni modo avrà una sua fisologica conclusione, che nei prossimi mesi (e anni) si assisterà ad un profondo mutamento dello scenario politico, sulla base di una fondamentale e dirimente questione: dover scegliere se assumere come inevitabile ed irreversibile il processo di “ritorno al passato” sul piano dei diritti e degli investimenti in ricerca, in nome di una “cinesizzazione” della produzione italiana, o, al contrario, lavorare allo scardinamento di un sistema fallimentare che, vedendo nella riduzione dei diritti e dei salari l’unica via di uscita, ottiene l’unico risultato di acuire la crisi di cui è al tempo stesso artefice e vittima.

Una scelta cui nessuno potrà sottrarsi. A prescindere dall’esito della consultazione di venerdì.
Democratici “ma anchisti” e poeti di Terlizzi, volenti o nolenti, dovranno decidere da che parte stare.

Mattia Nesti