“Sono molto contento e soddisfatto su come si è sviluppata la nostra discussione. Alla fine, con grande nettezza, è venuta fuori l’idea di un partito che prende la responsabilità di parlare al Paese e mette davanti a tutto il progetto per l’Italia”. Con queste parole il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, ha ieri salutato i cronisti convocati per la conferenza stampa indetta a conclusione della pirotecnica riunione di Direzione. Il leader dei democratici è provato da un pomeriggio di animata discussione, nel corso del quale la spaccatura all’interno del partito è stata realmente sfiorata. Ma facciamo un passo indietro.
Bersani ha inaugurato i lavori, invitando tutti alla “chiarezza” che, nella sua ottica, si traduce in un voto da esprimere sulla sua relazione. Una mossa, che secondo i beninformati sarebbe stata “imboccata” da Massimo D’Alema e che gli animatori di Movimento democratico non avrebbero gradito affatto. A indispettire i veltroniani interviene anche la pallida posizione assunta dal segretario sulla vertenza Fiat Mirafiori: i Modem (ma non solo loro) avrebbero gradito una difesa più convinta del ‘sì’ referendario, che però non arriva. Da qui la decisione di alzare la testa: se il segretario ci chiede di esprimere un giudizio sulla linea del partito – è in sintesi l’annuncio di Movimento democratico – non abbiamo paura di dire che voteremo contro.
E’ a questo punto che Bersani inizia a sudare freddo, riconoscendo nelle parole dei veltroniani l’intenzione di provocare una spaccatura profonda nel partito. Cosa fare allora? Il leader dei democratici comprende che bisogna correre ai ripari e tenta di aggiustare il tiro. Ai colleghi che invitano Gentiloni e Fioroni a dare le dimissioni dai loro incarichi all’interno del partito (“Perchè non è possibile mantenerli – ha osservato il franceschiniano Gianclaudio Bressa – se si è in disaccordo con la linea dettata dal segretario”), Bersani risponde che ciò non è necessario. Non solo: il leader dei democratici, per abbassare i toni della polemica intavolata con gli animatori di Modem, rispolvera un’espressione tanta cara a Walter Veltroni, rivendicando l’importanza di confermare la “vocazione maggioritaria” del Pd in materia di alleanze.
A questo punto il peggio sembra essere passato e Bersani si incammina, un po’ più rincuorato, verso la votazione: alla fine riesce a sfangarla con 127 sì, 2 astenuti (sono Zampa e Santagata, in disaccordo con la linea del segretario in materia di primarie) e 2 voti contrari. Appartengono a Caterina Corea e Liliana Frascà, membri della Direzione calabrese del Pd, che hanno contestato la scelta della dirigenza nazionale di commissariare il partito nella loro regione. “E’ una scelta scellerate e del tutto irresponsabile – hanno scandito le due dirigenti calabresi – le cui conseguenze non potranno non pesare nelle imminenti vicende politiche ed elettorali”.
E i veltroniani? Loro hanno preferito non partecipare alle votazioni, lasciando intendere che lo strappo annunciato potrebbe non essere poi così irrecuperabile. Ma i più maliziosi hanno ipotizzato che la “premiata ditta” Veltroni-Gentiloni-Fioroni abbia architettato ogni cosa per sfruttare a loro vantaggio la “vetrina” concessa ieri da Bersani. Perché? I tre avrebbero voluto aizzare l’attesa di tutti sull’appuntamento fissato per il 22 gennaio prossimo, quando a Torino, il Movimento democratico inaugurerà il Lingotto 2, una convention in cui i tre “dissidenti” promettono di presentare le lineee guida dell’altro Pd.
Da segnalare, infine, la semi-defezione di tre “pezzi da Novanta” del partito: ancor prima che il segretario replicasse alle osservazioni dei vari intervenuti e invitasse tutti i partecipanti ad esprimere il proprio giudizio sulla sua relazione, Walter Veltroni, Sergio Chiamparino e Matteo Renzi hanno deciso di abbandonare la Direzione. Una precoce “uscita di scena” che ha instillato molti dubbi tra i presenti. Spetterà al segretario nazionale capire se il loro intempestivo allontanamento da via del Nazareno sia stato dettato da motivi extra-partitici o, come è più facile immaginare, da divergenze politiche più o meno marcate.
Ma alla conferenza stampa di ieri sera, Bersani consegna alla fine un messaggio tutt’altro che allarmato: “Attorno ai concetti esposti nella mia relazione – ha riferito – c’è stata una larghissima e ferma convinzione di grandissima parte del nostro gruppo dirigente, in un dibattito appassionato perché noi – ha concluso – non siamo il partito del ghe pensi mi“. Se lo dice lui.
Maria Saporito