Ritorna al Comunale di Firenze il Don Pasquale di Gaetano Donizetti, non più rappresentato dall’ultima edizione del 2001. Scelta decisamente opportuna quella di proporre questo dramma comico-sentimentale che apre con brio e garbata ironia la nuova stagione teatrale del Maggio Musicale Fiorentino.
La vicenda, ambientata a Roma, si articola in tre concisi atti che rispettano quasi le aristoteliche unità di luogo e di azione. Pochi, e fortemente caratterizzati , i personaggi: il protagonista Don Pasquale è un settantenne arzillo e benestante, celibe da sempre, economo, credulone, zio di Ernesto, a cui ha imposto un matrimonio che il giovane si ostina a rifiutare per amore di Norina. Norina, vedovella dall’animo ancora pronto a ricever e concedere attenzioni, abile e intrigante nell’arte seduttiva, ma al sol scopo di poter liberamente concedersi ad Ernesto. Il dottor Malatesta, confidente di Don Pasquale e amico di Ernesto, organizzatore della burla ordita ai danni del vecchio per distoglierlo dall’insano proposito di prender moglie. Ed infine Ernesto, giovane, entusiasta della vita e amante appassionato e ricambiato dalla vivace Norina.
Su un esile intreccio, che non può che aver come finale l’unione dei due innamorati, e la tardiva presa di coscienza di Don Pasquale, Donizetti ha costruito una partitura equilibrata e godibile in ogni sua parte nel’alternarsi di diversi registri musicali: baritono il dottor Malatesta, basso buffo Don Pasquale, tenore e soprano leggero gli innamorati.
La parte musicale è accortamente valorizzata dai costumi, attentamente ricostruiti su quelli dell’epoca da Isabella Bywater. È frutto dell’abile sapienza mimetica di quest’ultima anche la costruzione della scena; l’azione si svolge infatti in una casa a tre piani, tagliata in sezione, copia delle vecchie case delle bambole, con i suoi vani-scatola in cui tutti i particolari sono inseriti con precisione quasi maniacale: il mobilio con le sue suppellettili, il soffito a cassetoni, i disegni sui pavimenti, la carta da parati e i serviti da cucina. Brulica di vita questa grande scatola di legno fin dalle prime note, mentre gli attori duettano al primo piano della scenografia, le comparse, a cui la partitura musicale darà vita solo nel terzo atto, si muovono con piacevoli “a parte” nelle cucine e nella soffitta.
Il tutto è armonizzato dall’elegante regia di Jonathan Miller che evita facili eccessi e smagliature, contribuendo all’equilibro formale in cui viene lasciato alla musica il ruolo d’onore. La presenza in sala di numerosi giovani che hanno mostrato di apprezzare lo spettacolo, testimonia come l’opera lirica ha ancora tanto da dire anche ad un pubblico meno canonico e paludato, specie se, come in questa occasione, l’ironia senza tempo trova forse troppo facili riferimenti di cronaca contro cui appuntar i suoi strali.
M.S.G.