Dopo la fuga del presidente Ben Ali, Tunisi è diventata un inferno di fazioni che si fronteggiano: l’esercito dello Stato, fedele al nuovo corso verso una possibile democrazia, e frange di miliziani e mercenari che seminano terrore per fare in modo che nulla cambi.
Sparatorie, coprifuoco, arresti, pestaggi e cecchini appostati al centro della città: questo lo scenario che il premier Mohammed Ghannouci si ritrova ad affrontare. Oggi si attende la presentazione ufficiale del nuovo governo di unità nazionale, ma lo stesso Ghannouci già ieri annunciava tolleranza zero: arrestati Rafik Belhaj (ex Ministro dell’Interno), un nipote di Ben Ali e circa tremila poliziotti. Una dimostrazione della volontà di cambiamento che però non ha del tutto convinto i cittadini, che stamattina sono di nuovo scesi in piazza per chiedere lo scioglimento del partito dell’ex presidente fuggito. La protesta, dispersa poi dalle forze di sicurezza con lacrimogeni e idranti, riguardava anche l’inserimento nel nuovo governo di rappresentanti del regime.
Sul punto è arrivata la smentita delle forze di opposizione, secondo le quali nella nuova squadra non ci saranno partiti filogovernativi vicini a Ben Ali. Vi faranno parte, invece, il movimento Rinascita, il Partito Democratico Progressista, e il Fronte Democratico per il lavoro e la Libertà.
Proseguono, intanto, le ritorsioni dei ribelli contro fedeli e parenti dell’ex dittatore: oggi sulla strada fra Tunisi e Cartagine è stato incendiata un’Hummer, l’auto di Saif Trabelsi, cognato del presidente fuggito. Così come a Tunisi si continua a dare la caccia ad altri fedeli al vecchio regime. Si cerca e si vive nel terrore dato che, come rivela oggi Repubblica, “corre voce che Ben Ali, prima di partire, abbia lasciato ottocento autobomba pronte ad esplodere.”
E proprio su di lui iniziano a filtrare indiscrezioni sulla dinamica e sui motivi della sua fuga. Le Monde ha riferito che l’ormai ex presidente tunisino e sua moglie sarebbero scappati con 150 chili d’oro. E che, secondo le informazioni a disposizione dei servizi segreti francesi, sarebbe stato direttamente l’esercito tunisino a provocare la destituzione di Ben Ali. Una fine inaspettata. Quella di un regime che durava da più di un quarto di secolo. Con un popolo che sembrava ormai rassegnato ad aspettare il 2014, anno in cui il loro dittatore si sarebbe fatto eleggere Presidente della Repubblica. Ma poi la realtà della crisi: scarsità di cibo, prezzi al rialzo, il suicidio del 26enne Mohammed Bouaziz, la disoccupazione che colpisce il 72% dei giovani sotto i 29 anni. “E (alla fine) – come scriveva due giorni fa Bernardo Valli – la Tunisia è esplosa.”
Cristiano Marti