Che una famiglia, devastata dall’angoscia di ritrovarsi, una sera come tante altre, al centro di quella cronaca nera che in genere si legge per curiosità o per mancanza di meglio da fare, possa sentire l’esigenza di essere lasciata tranquilla un po’ perché potrebbe agevolare le indagini, un po’ perché certi dolori necessitano di essere vissuti in solitudine, e lontano dalle domande spesso banali di avvoltoi microfonati, è più che comprensibile.
Tuttavia non si può fare a meno dal riflettere sulla particolarità di una richiesta, quella del silenzio stampa, che seppur legittima va a stridere con una realtà – se ancora può essere utilizzato questo termine nei casi come quello della scomparsa di Yara Gambirasio dal paesino bergamasco di Brembate di Sopra – che da almeno cinquanta giorni è stata fatta di luci, sipari, notiziari, aggiornamenti, comunità virtuali e sentimenti che si ha difficoltà a capire se siano sinceri o prodotti in laboratorio.
Quello su cui bisognerebbe soffermarsi non è tanto il diritto di una madre di fare in modo che tutte le contingenze fisiche si dispongano nel modo più utile ai fini delle indagini e, dunque, di rafforzare la speranza di poter riabbracciare prima possibile la propria figlia fatta di carne e sensi, ma la natura di quella Yara che dallo scorso 26 novembre ha popolato quella nicchia in cui lo spazio e il tempo hanno forme e funzioni diverse: il mondo dei media.
Sforzarsi a capire da un punto di vista metafisico chi, o sarebbe meglio dire cosa, è Yara Gambirasio per la stragrande maggioranza di chi si è interessato, in un modo o nell’altro, alle sue sorti sarebbe estremamente utile per delineare il ruolo di un certo tipo di giornalismo.
Soltanto voyeurismo di chi sa che certe notizie sono estremamente vendibili o parte integrante di un sistema sociale che oggi, molto più di prima, basa il suo stesso esistere sullo scambio di informazioni – rilevanti o meno ai fini del benessere della comunità, poco importa -, a partire da cui, poi, costruire narrazioni condivise dentro cui proiettarsi e specchiarsi.
La storia di Yara come parabola esemplare nel terzo millennio? Feticcio globalizzato a cui riferirsi nella scoperta delle falle insite nella società di oggi? Difficile dirlo.
Adesso, però, silenzio.
Simone Olivelli