Un matrimonio di lunga durata già annullato dalla Chiesa non può essere annullato automaticamente dallo Stato. I giudici non possono, dunque, avallare la decisione ecclesiale. E’ quanto ha stabilito la Cassazione (prima sezione civile, sentenza numero 1343), che ha accolto il ricorso di una signora veneta e invalidato la nullità civile del suo matrimonio, durato ben venti anni.
Maria Lorenza R., questo il nome della donna “ripudiata” dal consorte con il pretesto di avergli taciuto la sua contrarietà a diventare mamma, aveva chiesto ai giudici della Suprema Corte se la sentenza ecclesiastica di annullamento delle nozze (emessa dalla Sacra Rota nel 2001 e “convalidata” dalla Corte d’Appello di Venezia quattro anni fa) non contrastasse con gli articoli 123 del codice civile (simulazione del matrimonio) e 29 della Costituzione (tutela della famiglia).
Ed ecco la sorpresa: i giudici della Suprema Corte hanno dato ragione alla signora veneta, spiegando che “la prolungata convivenza è considerata espressiva di una volontà di accettazione del rapporto che ne è seguito e con questa volontà è incompatibile il successivo esercizio della facoltà di rimetterlo in discussione, altrimenti riconosciuta dalla legge”. Insomma, dopo un matrimonio così lungo, l’unica via percorribile resta quella della separazione civile, non quella della nullità.
Questo perché una volta che il rapporto matrimoniale prosegue nel tempo è contrario ai principi di ‘ordine pubblico’ rimetterlo in discussione adducendo riserve mentali, o vizi del consenso, verificatisi nel momento del sì all’altare.