“Un atto di coraggio”. Cesare Battisti, l’ex militante dei Proletari armati per il comunismo condannato in Italia per quattro omicidi, definisce così la scelta dell’ex presidente brasiliano Luiz Ignacio Lula da Silva. In un’intervista concessa al settimanale ‘Brasil de Fato’, che sarà pubblicata la prossima settimana, Battisti non nasconde la soddisfazione per la sua mancata estradizione nel nostro Paese.
L’ex terrorista ammette di sentirsi perseguitato e dichiara che il suo processo, lungi dall’appartenere alla sola sfera giuridica, è ormai diventato merce di scambio nella politica internazionale col mal celato intento di colpire l’autonomia del governo federale brasiliano.
Nel corso dell’intervista, Battisti sostiene che “è stato fabbricato un mostro che non ha nulla a che vedere con me“. “Mi perseguitano perché sono uno scrittore, ho un’immagine pubblica. Se non fosse così – argomenta l’ex militante dei Pac – sarei uno di più, come tanti italiani che hanno lasciato il Paese per lo stesso motivo. Sono perseguitato dallo stato italiano e dal sistema giudiziario brasiliano“.
“Non c’è Paese al mondo in cui l’estradizione non sia decisa dal capo dell’esecutivo. Immaginate se questa decisione della magistratura brasiliana fosse stata presa in un altro Paese, come la Francia, per esempio. Sarebbe assurdo, impensabile. Quando sono diventato un affare internazionale, sono diventato una merce di scambio per molte cose”, aggiunge Battisti, secondo il quale, se l’ex presidente Lula avesse deciso prima della fine del suo mandato, “gli avrebbero dato addosso perché sconfiggere me equivale a sconfiggere Lula. Ora in questo caso l’obiettivo principale della destra brasiliana è colpire il governo di Dilma”.
Raffaele Emiliano