Pachube.com, sensori che ‘parlano’

Abbiamo già avuto modo di parlare dell’Internet delle cose (Internet of Things).
Il termine concepito qualche anno fa al MIT di Boston gode oggi di grande attenzione da parte dei media, del mondo incantato della nuvola di Internet e soprattutto e più interessante, da parte dei costruttori di impianti, macchinari e device, operatori di telefonia mobile e sviluppatori di tutto il mondo.

Il concetto di per se è estremamente intuitivo.

Si tratta di mettere in comunicazione gli oggetti sparsi sul territorio o servirsi dei dati da loro trasmessi e generati da una determinata località in una frazione di tempo.

Sembra fantascienza e non lo è. Quando mandiamo SMS ad impianto di localizzazione di un camion in viaggio o quando una videocamera ci chiama perché un ladro si è introdotto in casa, già rientriamo in questi ambiti.

Un tempo vi era l’Internet dei computer, quando la rete da poco nata aveva la grande novità di garantire la comunicazione in tempo (quasi) reale tra due o più computer e/o server da una parte all’altra del globo. Poi piano piano, la connettività che prima era affidata ad un cavo di fonia fissa si è spostata nella potenza delle reti dati mobili che, grazie alla loro continua evoluzione, hanno permesso a produttori di telefoni, smartphone ed ora anche tablet, di portare la connessione nel palmo di una mano rendendo personalizzato il servizio e causando l’impennata della socializzazione e la crescita esponenziale dei social network. Da Internet dei computer ad Internet delle Persone quindi. Ci troviamo ora ad un modello ancora più pervasivo, le persone connesse ai loro mondi ed ai loro territori colloquiano con attrezzature, macchinari, elettrodomestici, sia in modo stanziale che in mobilità. Non solo, da una modalità pull (a richiesta dell’utente) si è passati ad una modalità push (interazione automatica tra sorgente e destinatario).

I dati ci inseguono, anche se non lo vogliamo. I macchinari ci parlano, ci dicono cose dell’ambiente in cui siamo tutti inseriti. Un altro filone di indagine  molto interessante è il progetto OpenSpime che prende vita dal concetto di Spime, un neologismo nato grazie all’innovativo scrittore Bruce Sterling: Space & Time  ovvero gli oggetti sanno come e dove, come se avessero una loro consapevolezza.

Pachube è una piattaforma tecnologica che permette a chi si è registrato di monitorare oggetti dislocati su un territorio e di salvare la cronologia di tutti i dati generati dagli stessi. I dati si creano e custodiscono a beneficio della comunità, possono essere condivisi, portarli in mobilità, utilizzate le API di accesso e creati nuovi contesti d’uso. Il meccanismo è stato più volte descritto come un Social Network di Sensori Wireless ed è propriamente così. Pachube permette di registrarsi gratuitamente nella versione base con minori funzionalità di monitoraggio fino ad arrivare a profili Enterprise da $900 al mese.

Vale la pena di provare e di continuare a seguire le evoluzioni del mondo delle cose che parlano perché trattasi di un filone di ricerca pieno di potenzialità e nicchie interessanti da scoprire anche dal punto di vista economico.

Natascia Edera