Il Governo spagnolo ha approvato la riforma delle pensioni che prevede l’innalzamento dell’età d’uscita dal lavoro, nel tentativo di convincere i mercati e il mondo economico che il Paese iberico è in grado di tagliare il proprio deficit e rilanciare l’economia.
Il disegno di legge ha ricevuto il via libera dai sindacati e dalle associazioni patronali, favorendo così l’iter parlamentare, dove l’Esecutivo non ha la maggioranza assoluta.
Con la nuova riforma, che sarà perfezionata in 14 anni a partire dal 2013, una grossa fetta della popolazione spagnola andrà in pensione a 67 anni, invece che a 65. Essa non avrà effetti immediati sul budget di spesa statale prima del 2015, ma segna un passo in avanti nell’affrontare un’economia con, attualmente, poche prospettive di crescita e un’elevata disoccupazione.
Dal canto loro, i sindacati hanno ottenuto che i lavoratori che hanno versato contributi per 38 anni e mezzo possano andare in pensione a 65 anni.
E, mentre l’Ocse ha giudicato positivamente la riforma, reputata una passo verso la sostenibilità di lungo periodo della spesa pubblica statale, per molti economisti essa è insufficiente per la ripresa del Paese. La reazione dei mercati alla notizia, infatti, è stata alquanto ‘fredda’.
Robert Tornabell, docente di Economia all’Università Esade di Barcellona, ha dichiarato:”La mia unica preoccupazione è che ogni volta che c’è una crisi in Spagna, ci sono prepensionamenti di massa. Questo fatto pesa molto sul sistema pensionistico”, aggiungendo che “Ogni settore sta licenziando, dalle banche ai media, e invece di lasciare le persone disoccupate, forzano migliaia al pensionamento anticipato”.
L’accordo sulle pensioni sarebbe propedeutico ad ulteriori accordi tra Governo, sindacati e rappresentanti del mondo imprenditoriale in altre aree di interesse sociale quali i contratti collettivi di lavoro e le riforme nei settori dell’energia e della ricerca e sviluppo.
Marco Notari