RECENSIONE DEL NUOVO FILM DI FAUSTO BRIZZI, CON CLAUDIO BISIO, LUCIANA LITTIZZETTO ED EMILIO SOLFRIZZI, IN USCITA NELLE SALE IL PROSSIMO 4 FEBBRAIO
Dopo le esplosioni qualitativamente apprezzabili di Antonio Albanese e Checco Zalone, ci accostiamo per un attimo ai nuovi lavori della commedia italiana con ottimismo a piccole dosi. Dovendo però arrenderci all’evidenza: i due comici campioni di incassi sono solo casi isolati, nel marasma di commedie “immature” che il panorama nostrano continua a offrire. Non fa eccezione Femmine contro maschi, sequel non-sequel (i due film sono stati girati contemporaneamente e non hanno legami tematici) di Maschi contro femmine. Le cose, purtroppo, sono andate come molti temevano: se il primo non brillava, il secondo non è certo un miglioramento. Anzi.
Le storie corali hanno sempre grandi potenzialità, e il regista e sceneggiatore Brizzi sa tesserne e incrociarne le trame abbastanza bene. Tuttavia le stesse storie perdono il loro potenziale se si esauriscono in cliché visti e rivisti che tolgono ogni possibile suspence o tensione alla storia, ed è questo quello che accade nel film. Un esempio? Il fedifrago e fanfarone Piero sbatte la testa, perde la memoria e sua moglie Anna coglie l’occasione per “riformattarlo” a suo piacimento; un espediente, quello dell’amnesia, che quest’anno compie più o meno il suo trentesimo anno d’età nelle sale cinematografiche. Non fa niente che nei panni di Piero e Anna ci siano due ottimi interpreti come Emilio Solfrizzi e Luciana Littizzetto: la formula trita non ci dà il minimo piacere, non crea sospensione. In poche parole: ci annoia. E così potremmo continuare con i personaggi che sono stati affibbiati alla galleria di super-ospiti: Claudio Bisio, Nancy Brilli, Ficarra e Picone, e chi più ne ha più ne metta.
Ma dov’è in effetti la lotta tra femmine contro maschi? Qui ci sono da una parte le donne stronze e intolleranti, dall’altra gli uomini imperfetti ma tutto sommato bambinoni e benintenzionati. E poi perché ricorrere in questo modo facile alle maschere? Siamo sempre i soliti italiani schiavi dei ruoli fissi da commedia dell’arte? Il chirurgo ricco e un po’ parvenue, la sua ex-signora pacchianotta, il bidello bambinone e ancora sognatore, tanto per dirne alcune. E gli episodi in cui sono inseriti non sono molto più originali di loro: si va dall’uomo malato di calcio, all’impiegato un po’ frustrato e mancato musicista. Si salva forse solo l’episodio con Bisio, la Brilli e Wilma De Angelis, che ha però delle punte di miele da far venire il diabete. In genere le sceneggiature di Brizzi puntano almeno un po’ sui dialoghi spigliati, che invece in questo film sono più scialbi che mai. Senza contare la cattiveria gratuita del copione nel costringere Ficarra e Picone a scimmiottare (non se ne può francamente più) la celeberrima lettera di Totò, Peppino e la Malafemmina.
Va bene, Brizzi ha voluto sottolineare in conferenza stampa che le sue sono “commedie leggere leggere”, ma se è per questo è sempre vero che si può galleggiare sul mare della levità facendo delle puntate giù in certe profondità immonde del Belpaese (Zalone e Albanese docunt). Nessuna giustificazione, quindi, se non il fatto che anche questo film (come il suo predecessore, girato in contemporanea, che ha incassato ben 14 milioni di euro) al botteghino andrà probabilmente bene. E se il box-office dà il suo verdetto, quella è la parte della ragione. O almeno è così che la vedranno i produttori del prossimo film di questo genere. Il titolo? Femmine contro femmine, maschi contro maschi, scimpanzé contro babbuini…fate voi, il risultato è sempre lo stesso.
Roberto Del Bove