Il giornalismo s’interroga: esiste il problema dell’informazione?

“Il giornalismo racconta o sfida la verità?”

Questo uno degli interrogativi centrali dell’incontro “Faremo (ancora) notizia. La verità, via per la vita e il futuro del giornalismo”, che si è tenuto oggi 29 gennaio presso la sede dell’Istituto dei ciechi di Milano. L’incontro ha visto partecipe il cardinale Tettamanzi, in questi mesi interrogato più volte sul tema, il quale ha lanciato un’esortazione ai giornalisti impegnati in questi giorni nel rubygate.

Questo è solo uno dei tanti dibattiti che hanno cercato di capire se esista un problema legato al giornalismo italiano. O se almeno esista la necessità di una riflessione comune con cui la società possa digerire i cambiamenti in atto. I fatti hanno aumentato l’urgenza di tale riflessione: la legge per la pubblicazione di quanto è contenuto nelle intercettazioni; lo “sciacallaggio” sul caso Avetrana; lo stesso caso Wikileaks, e la questione sullo status delle informazioni coperte da segreto; da ultimo, le sempre più frequenti bacchettate pubbliche dirette ai giornalisti.

Proviamo ad interrogarci anche noi, nella giornata in cui si celebra san Francesco di Sales, patrono della categoria. Esiste una questione giornalistica? Credo di sì, e che essa contenga tanto di più. Quello del giornalismo è un settore dove poter veder riassunte molte delle dinamiche e delle tensioni che caratterizzano l’Italia di questi anni. Molto dell’Italia si può leggere in un settore che vede allargarsi la base della piramide di chi aspira alla professione, meta di molti giovani addestrati a raccontare della propria realtà nelle scuole a impronta umanistica (giovani che non colgono – nascondiamoci la cosa quanto vogliamo – una via per entrare in quella realtà). Una gioventù, questa, che è colta, – molto, la più colta che l’Europa del sud abbia mai avuto, recitava un articolo del Times- e furbescamente capace di utilizzare la parola perché è quello che le si è sempre insegnato; gioventù coinvolta profondamente nella società degli adulti, eccetto che dove questa società si fa (lavoro, autonomia familiare, ruoli pubblici). Parlare della situazione attuale del giornalismo significa parlare innanzitutto di giovani (dai 20 ai 40 anni, ovviamente).

Parlare del giornalismo significa poi parlare di immobilismo sociale, che si radica strettamente nella presenza dell’albo dei giornalisti e del suo fedele alleato, il grande specchietto per le allodole, l’albo dei pubblicisti.

Parlare di giornalismo significa parlare della completa incapacità di tramandare una professione, che appare senza regole e tecniche perché quelle regole e tecniche non vengono insegnate.

Parlare di giornalismo significa parlare dei non-luoghi dove esso si cela. Come giungere a questa professione è mitologicamente o realmente oscuro.

Parlare di giornalismo significa confrontarsi con i grandi cambiamenti che le tecnologie telematiche stanno apportando e di cui non si coglie mai troppo sul serio la reale portata. Essi costringono a chiedersi se tra qualche tempo potrà ancora esistere un’informazione di professione, la cui eventuale scomparsa genererà non pochi problemi di status. Infatti la comunicazione velocizzata e moltiplicata costringe già a riflettere su un fenomeno molto interessante: il rapido declino delle vecchie sedi dell’informazione, con il moltiplicarsi dei cronisti, avviene parallelamente al riattualizzarsi del problema dell’”auctoritas”, “chi lo dice?”.

Chi lo dice? Trovo che questa piccola espressione sintetizzi molto bene la nostra condizione di italiani. «Chi lo dice?… Lo dice lei questo»: è forse una delle frasi più sentite e sembra nascondere una perdita di comun sentire, di common sense, di senso comune. E forse questo è anche colpa di un giornalismo rarefatto, che si estranea per farsi testimone credibile o che annaspa per tutelarsi, e che perde quel magnifico ruolo per cui sembra essere nato, quello di testimone responsabile.

Giulia Antonini