“Oggi abbiamo ricevuto i risultati e li abbiamo accettati, sono i benvenuti poiché esprimono la volontà del popolo del sud”. Così si è espresso oggi Omar Hassan al-Bashir, presidente del Nord Sudan, sciogliendo i timori dei giorni scorsi, che facevano pensare a nuovi scontri finalizzati al controllo delle riserve petrolifere presenti al confine fra i due Paesi.
Al Bashir aveva già annunciato di essere a conoscenza dell’esito del referendum (al sud i sì per l’indipendenza hanno raggiunto il 98% dei voti) anche se i risultati ufficiali si conosceranno entro stasera. Anche se la divisione fra i due Stati, in prospettiva, è ormai una realtà che dovrebbe concretizzarsi il prossimo 9 Luglio. “Annunceremo oggi – ha proseguito Al Bashir di fronte agli studenti presenti nella sede del Partito Nazionale del Congresso – che accettiamo il risultato e rispettiamo la scelta dei sudanesi del sud, (che) ha scelto la secessione. Ma noi siamo impegnati a mantenere i collegamenti tra nord e sud, a mantenere le buone relazioni basate sulla collaborazione”.
Una dichiarazione che traduce l’apprensione di Khartoum rispetto ai possibili risvolti nella gestione del petrolio, il quale, per la maggior parte, viene prodotto nella parte meridionale del Sudan. Nonostante l’esito del referendum, infatti, la questione più delicata da affrontare è quella della ripartizione dei proventi derivanti dalla produzione di greggio, i cui giacimenti si trovano per l’80% al sud. Un accordo dal quale dipenderà la pace tra i due Paesi, in una situazione che ad oggi è difficilissima per il Sudan: un debito pubblico di 36 miliardi di dollari che nessuno dei due Stati vorrà accollarsi per intero.
Da qui sorge il problema sulla gestione delle risorse economiche, in particolare riguardo alla spartizione dei terreni più produttivi: miniere d’oro, gas naturale ed ovviamente il petrolio. Una risorsa, quest’ultima, che è destinata a legare i due Paesi ancora per molto tempo, nonostante la secessione. Se, infatti, la maggior parte dei giacimenti si trova al sud, l’unico oleodotto presente nel Paese è a Port Sudan, città del nord.
E’ per questo che al meridione si sta già pensando alla costruzione di nuovi oleodotti tra Juba (Sudan meridionale) e Lamu (Kenya), una soluzione che costringerebbe il Nord a produrre autonomamente attraverso i giacimenti del Mar Rosso. Una prospettiva incerta che, sul piano politico, è destinata a nuove ipotesi di conflitto. E già si parla, come prossimo terreno di scontri, della regione di Abyei, contesa fra i due Stati. E non a caso il territorio più ricco di petrolio.
Cristiano Marti