9 febbraio. Preceduta da un vespaio di polemiche, si celebra oggi la prima Giornata nazionale degli stati vegetativi. A generare il dissenso è stata la scelta della data. Il 9 febbraio di due anni fa infatti moriva Eluana Englaro, rimasta in stato vegetativo per 17 anni, dal 1992, a seguito di un incidente.
La coincidenza temporale è stata ritenuta “inopportuna” da svariate associazioni e dal padre stesso della ragazza, Beppino Englaro. Quest’ultimo, ha sempre giudicato il far rimanere in vita sua figlia in stato vegetativo come un “accanimento terapeutico”; di contro, il Governo ai tempi della “battaglia” finita in politica e nelle aule di Tribunale, riteneva quella di Eluana una “forma di disabilità” (fonte ANSA), ed ha fortemente voluto la Giornata degli stati vegetativi con il solo scopo di sensibilizzare l’opinione pubblica sull’argomento.
La questione è complessa, in quanto tocca sensibilità molto delicate, come ad esempio quelle religiose. Eluana morì in quattro giorni, su una previsione medica che indicava un tempo decisamente maggiore. Omicidio, liberazione, pietà, solidarietà? Ai tempi della morte di Eluana si utilizzarono a più riprese tutti questi termini, e molti altri, nel tentativo di descrivere, comprendere, spiegare.
Da una parte o dall’altra, ognuno sulla base delle proprie convinzioni, si schierarono politici, giornalisti, medici. Incisiva fu anche la campagna della Chiesa, fortemente in difesa del mantenimento in vita di Eluana, che dovette però scontrarsi con i sostenitori di un pensiero più laico, quelli che volevano “staccare la spina”.
Dalle polemiche piuttosto feroci di due anni fa, “nacque” la questione del biotestamento. La prima domanda posta fu quella riguardante l’utilità e la necessità di un simile documento.
Redigere un biotestamento significherebbe specificare anticipatamente, nel pieno delle proprie facolta fisiche e mentali ed in forma scritta il personale desiderio d’interrompere o meno la propria vita nel caso si finisca in stato vegetativo.
Ma cosa dovrebbe contenere, a livello concettuale, un simile documento? Quando inizia l’accanimento terapeutico? Dove e quando finisce la libertà di scelta? Una persona può decidere di smettere di mangiare fino alla morte? Ma soprattutto è in grado di prendere una decisione simile quando non è affetto da alcuna malattia o condizione fisica fortemente debilitante? la Giornata nazionale degli stati vegetativi, spiega il sottosegretario Roccella, invita a “ricordare (..)quanto è degna l’esistenza di tutti coloro che vivono in stato vegetativo e non hanno voce per raccontare il loro attaccamento alla vita”, quest’ultimo, secondo alcuni è infatti molto maggiore in condizioni di forte disabilità: ha senso quindi decidere prima? Esiste il rischio di “dare un consenso alla propria morte” per poi non volerla veramente nel momento in cui qualcuno stacca la spina adempiendo ai desiderio del malato espresso precedentemente? E se esiste, conta a tal punto da “obbligare” alla permanenza in vita un individuo che invece vuole “farla finita” senza ripensamenti? Domande che molti si fecero nelle settimane precedenti e seguenti la morte di Eluana.
Secondo il padre ed alcune amiche, prima della tragedia che le provocò lo stato vegetativo, la ragazza aveva più volte espresso il desiderio di non voler vivere in quel modo, nel caso fosse capitato proprio a lei. Ci rimase però per 17 anni. La lotta di Beppino nel nome di sua figlia venne condotta con incredibile tenacia.
Alle molte domande e agli altrettanti dubbi, potrebbe ora rispondere il ddl sul biotestamento, che approderà in Parlamento il 21 febbraio. La discussione sulla proposta di legge riguarderà le circa 2000 persone in condizione di stato vegetativo in Italia. Una situazione familiare che pesa il più delle volte sui parenti anche economicamente, oltre ad avere su questi ultimi una forte incidenza negativa a livello psicologico.
A.S.