Chiediamo alla Regione di riaprire il confronto e delineare uno scenario diverso da quello attuale per un futuro dove coesistano differenti istanze, orientando il consumo verso un modello sostenibile per il territorio e sostenibile per le lavoratrici e i lavoratori, ribadendo, ancora una volta, che la liberalizzazione spinta non è la risposta alla crisi e al consumo e non è un vantaggio per i consumatori. Altresì, deve essere riaperta la discussione sul piano del commercio e la sua programmazione, sulla legge di recepimento della direttiva comunitaria, sul lavoro domenicale e i festivi nel commercio, sul sistema delle deroghe che i comuni, sotto la spinta delle diverse associazioni, continuano ad attuare. E quanto afferma una nota della Segreteria Regionale Cgil Umbria, che porta la firma di Gianfranco Fattorini.
Palla alle istituzioni. Secondo il sindacato, dall’evento straordinario e, in alcuni casi circoscritti, si sta passando alla richiesta di maggiori aperture, di flessibilità spinta negli orari e forme contrattuali di lavoro che mettono in discussione regole leggi e contratti di lavoro. Le istituzioni, le controparti e la stessa politica non possono, quindi, più far finta di non vedere. E’ necessario, si legge nel comunicato, contrastare in primo luogo una deregolazione selvaggia, il peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro delle tante donne e dei tanti giovani, a partire dalla rimessa in discussione del proprio tempo di vita e dalla quasi assenza di un’offerta di lavoro che gli possa creare indipendenza economica e una prospettiva di futuro.
Contrastare la crisi. Per Fattorini, la difficile situazione in atto imporrebbe la rimessa in discussione anche di questo modello di consumi e di sviluppo commerciale e, al tempo stesso, una doverosa e necessaria riflessione su quale modello sociale, culturale e del territorio si vuol perseguire, di come affrontare gli aspetti legati alle ripercussioni contrattuali e di reddito dei lavoratori e delle lavoratrici, già fortemente colpiti dalla crisi economica e occupazionale. Il tema dello sviluppo sociale e dei consumi, il futuro del settore sono aspetti strettamente legati alle condizioni di lavoro e di vita delle lavoratrici e dei lavoratori coinvolti e occuparsi e preoccuparsi di questo significa saper salvaguardare l’occupazione e creare sempre di più buona occupazione. Proprio per questo motivo, l’argomento sull’apertura dei centri commerciali e dei negozi nei festivi e delle stesse domeniche non è la risposta alla crisi. Si chiede, quindi, che su questo aspetto si riapra una discussione di merito, per una nuova ed efficace programmazione e regolamentazione regionale attraverso una pianificazione commerciale.
Imbarbarimento culturale. Secondo l’organizzazione sindacale, la crisi in atto ha cambiato e continuerà a cambiare il modo di consumare ed è molto probabile che anche quando la crisi sarà superata il modo stesso di consumare non sarà più come quello ante-crisi. Per questo che diventa fondamentale rimettere al centro una discussione con le stesse istituzioni e controparti sul ripensamento dell’attuale modello di distribuzione e di regolamentazione del settore. Per la medesima ragione, dallo stesso sindacato ritengono necessario rivendicare una politica di scelte e di indirizzo capaci di contrastare l’imbarbarimento culturale, che porta le persone, il consumatore a considerare la visita al centro commerciale o la spesa domenicale una consuetudine al pari di una visita in un museo o una passeggiata in città. Nella stragrande maggioranza dei Paesi europei, si ricorda nella nota, la domenica è un giorno di riposo settimanale, un costume e un modello sociale consolidato. Mentre da noi il lavoro domenicale sta diventando una regola indispensabile e necessaria, come se fosse un’essenzialità del servizio. Per la Cgil, inoltre, non è ammissibile sottovalutare che quando si parla di commercio si parla prevalentemente di lavoratrici donne, di come si concilia vita/lavoro, delle ricadute sulla vita familiare quando, in particolare, si è costretti a lavorare di domenica.
Il valore del lavoratore. Il consumo, spiega la nota sindacale, è sicuramente un’attività economica indispensabile. Ha creato occupazione ma non per questo deve essere caratterizzato e spinto all’estrema liberalizzazione e non può essere sostitutivo dei valori veri di una comunità democratica. Per tutto ciò, il valore del lavoratore e delle lavoratrici, in quanto persone, deve essere salvaguardato e valorizzato, come la qualità del lavoro che viene offerto e che trova, quasi sempre, forme di precariato, part-time o con poche ore e un livello reddituale non più sostenibile. Tutto questo, ribadiscono dalla Cgil, non è certo buona occupazione. Considerando, conclude il comunicato, che lo stesso CCNL del terziario, che recentemente è stato sottoscritto a firma separata, peggiora di molto le condizioni di lavoro, indebolisce il sistema delle regole, priva le parti a negoziare su orari e organizzazione del lavoro, riposi e conciliazione dei tempi.
Mauro Sedda