Yara, parla Fikri: A Mapello solo un giorno, non ho mai conosciuto la ragazzina

A più di quattro mesi dal giorno in cui venne sospettato di essere coinvolto nel sequestro di Yara Gambirasio, la tredicenne sparita da Brembate di Sopra il 26 novembre e poi ritrovata morta a fine febbraio in un campo di Chignolo d’Isola, Mohamed Fikri, il manovale impiegato nel cantiere edile di Mapello, parla e racconta la sua verità. Il marocchino è stato intervistato questo pomeriggio nel corso della trasmissione Domenica 5, rivendicando la propria estraneità alla vicenda, i cui risvolti – tra cui il fermo di polizia a cui venne sottoposto a dicembre – avrebbero anche fatto ammalare la madre e messo in apprensione l’intera famiglia.

«Non sono un mostro, voglio solo lavorare» – La storia di Mohamed Fikri prende una brutta piega quando pochi giorni dopo la scomparsa di Yara Gambirasio, avvenuta a pochi chilometri dal posto dove il marocchino lavorava e in cui i cani molecolari fiutarono il passaggio della ragazzina, una sua frase venne intercettata e tradotta erroneamente come «Allah mi perdoni, l’ho uccisa io», mentre in verità il giovane al telefono aveva semplicemente detto «Allah mi protegga». Il tragico caso di lost in translation, per citare il titolo di un film diretto da Sofia Coppola, era bastato per sollevare nell’hinterland del paesino bergamasco un sentimento di xenofobia che nessuno si premurò di celare.
Oggi, però, Fikri, che non è più inquisito, ha voluto raccontare ciò che lo ha portato nolente sulle prime pagine dei giornali: «Non sono un mostro. Sono un povero che arriva dal Marocco e sono in Italia per lavorare, sistemare la mia vita e aiutare i miei genitori. Non sono venuto qui per fare del male. Quando mi hanno fermato a Genova, in mezzo al mare, mentre stavo andando a casa, dalla mia famiglia, mi sono sentito scoppiare il cuore. Poi, durante l’interrogatorio, mi hanno messo sul cuore una foto di Yara facendo appello alla mia coscienza per farmi confessare. Io ho risposto che non conoscevo Yara e non l’avevo mai vista».
Fikri ha poi confermato di aver lavorato «nel cantiere di Mapello» ma soltanto per una giornata e dunque si chiede: «Come potevo compiere un gesto del genere essendo stato là un solo giorno?».
I giorni seguiti al suo rilascio non sono stati facili: «Dopo quello che è successo, sono tornato in Marocco dalla mia famiglia e mia mamma è stata male, si è ammalata di depressione». Il perché ha lasciato il Paese natio per ritornare nel nostro è presto detto: «Ho deciso di tornare in Italia per poter lavorare».

S. O.