Il fegato di pesce può salvare il cuore. Le alici sono la specie ittica che ha il contenuto maggiore e più equilibrato di acidi grassi omega 3 e omega 6, un mix benefico per la salute che protegge da infarto e ictus. È quanto ha stabilito uno studio dell’Università dell’Almeria, in Spagna, che ha confrontato 12 varietà di pesci comuni nella dieta dei Paesi mediterranei, tra i quali il nasello e le sardine. Questi acidi grassi si sono rivelati utili per prevenire o trattare diversi disturbi, come alcuni tipi di cancro, depressione, malattia di Alzheimer, schizofrenia problemi di comportamento e patologie cardiovascolari.
Tracina, acciuga e melù. Lo studio ha preso in considerazione 12 tipi di di pesce che sono diffusamente consumati nel sud-est della Spagna come il merluzzo, lo squalo mako e la sardina. La ricerca, pubblicata sulle pagine della rivista Journal of Food Composition and Analysis, ha stabilito che il pesce in assoluto più ricco delle sostanze naturali è la “velenosa” Tracina drago (Trachinus draco), seguita dalla alice o acciuga europea (Engraulis encrasicolus): il contenuto di grassi polinsaturi a catena lunga, i più benefici, è rispettivamente il 51% e il 48% del totale di acidi grassi presenti nei due alimenti. Tra i pesci “amici” del cuore vi è anche il melù o potassolo (Micromesistius poutassou) che è, a detta dei ricercatori, quello che ha la combinazione di omega 3 e omega 6 ottimale per il consumo umano. “Il fegato di pesce è una ottima fonte di grassi polinsaturi, specialmente di quelli della famiglia omega 3, come l’acido eicosapentaenoico (Epa) e l’acido docosaesaenoico (Dha)”, spiega José Luis Guil-Guerrero, uno degli autori dello studio.
Fegato scartato e buttato in mare. L’industria della pesca di solito purtroppo però scarta gran parte del fegato dei pesci (con l’illustre eccezione del fegato di merluzzo, utilizzato per produrre olio), buttando via le interiora prima dell’inscatolamento. È uno dei “peccati” che i ricercatori rinfacciano ai conservieri: ogni anno centinaia tonnellate di scarti di pesce vengono buttati nelle acque. “Purtroppo scartando queste parti si fa a meno di tutte le proprietà nutrizionali che vanno perdute- continua Guil-Guerrero – mentre se fossero utilizzate ed entrassero nella catena alimentare si potrebbe ridurre l’impatto sull’ambiente marino, un problema intrinsecamente connesso con l’industria ittica nelle zone costiere”.
Adriana Ruggeri