Osama Bin Laden è morto. L’annuncio al mondo intero è stato dato la scorsa notte da un compito ma visibilmente soddisfatto Barack Obama, che dalla sua Casa Bianca ha ufficializzato la notizia, dando il via a un’orgia di festeggiamenti in tutto il mondo. Perché? E’ davvero giusto (o anche solo umanamente condivisibile) autorizzare brindisi per le strade delle città volti a celebrare l’uccisione di un uomo? Ci si risponderà che si trattava del nemico numero uno dell’Occidente, del sanguinario ideatore della strage dell’11 settembre, ma se si volge lo sguardo un po’ più in là, tentando di sfuggire alla miopia del momento, si potrà scoprire che Osama Bin Laden ormai da tempo aveva smesso di far paura. Il sentore è che la sua morte – smerciata in mondovisione e non ancora certificata da prove inattaccabili – sia l’ennesimo tentativo di rinfocolare la paura per il fondamentalismo islamico perpetuato da Al Qaeda. Un “franchising” già da tempo affrancatosi dal fantasma di Osama, che è morto (forse) solo per consolare l’Occidente credulone.
Una morte da festeggiare – Senza scomodare la religione, che mai come in questo caso potrebbe fare da benzina a una vicenda già sufficientemente infiammabile, a noi pare che la gioia di tantissime persone che hanno sentito il bisogno di scendere in strada per festeggiare la morte di Osama Bin Laden sia quanto meno inopportuna. Considerare la scomparsa di una persona (chiunque essa sia) motivo di pubblico giubilo è una manifestazione tangibile di come lo scontro tra Occidente e Oriente (riaccesosi dopo la tragedia dell’11 settembre) abbia dato credito a meccanismi “extra-umani”, totalmente svuotati dalla pietas e dall’assennatezza. Volendo riportare poi il ragionamento su un piano meramente politico e militare, appare alquanto strano che l’America (e con lei buona parte del mondo) possa gioire per la scomparsa di quello che è stato considerato per un decennio il nemico numero uno dell’Occidente. Cui podest? A chi giova aver ucciso un protagonista così ingombrante della nostra storia contemporanea senza averlo prima interpellato? Perché i militari statunitensi, impegnati nel blitz che ha portato all’uccisione di Osama, di sua moglie e di uno dei suoi 7 figli hanno scelto di finirlo e non piuttosto di catturarlo?
La mancata collaborazione – Non sarebbe stato meglio (e più soddisfacente per lo stesso Occidente) consegnare alle tv di tutto il mondo le immagini di un terrorista detronizzato e costretto a trattare con i nemici “infedeli”? Le rivelazioni che Osama avrebbe potuto rendere avrebbero forse aiutato gli americani a venire a capo della labirintica struttura jihadista. Davvero nessuno ci ha pensato? Davvero Obama (e con lui tutta l’eminenza grigia del suo Paese) ha preferito rispondere trivialmente col sangue, senza valutare la portata strategica che le confessioni di Bin Laden avrebbero potuto avere? Troppe cose in questa storia appaiono – a nostro avviso – poco chiare e le cronache (fra loro spesso non coincidenti) consegnate dai militari che hanno fatto irruzione nel fortino del capo di Al Qaeda non sembrano in grado (almeno per il momento) di sciogliere i tanti dubbi
I punti irrisolti – Primo: la morte di Osama si poteva evitare o è stata dettata dalla necessità di difendersi dal fuoco aperto a sua volta dal terrorista? Secondo: perché le foto del suo cadavere non sono ancora state mostrate? E perché una tv pachistana ha diffuso un’immagine raccapricciante di Bin Laden morto, salvo poi confessare che si trattava di un foto montaggio? Quando e se questi interrogativi troveranno una risposta, resterà poi il dubbio più cocente. Se si oltrepassa l’analisi politica occidentale, infatti, ci si renderà facilmente conto che la figura di Bin Laden aveva smesso ormai da tempo di “incantare” i fratelli musulmani. La lotta contro l’Occidente che Bin Laden aveva sclerotizzato 10 anni fa con l’attentato alle Torri Gemelle non era più considerata l’unica via perseguibile e aveva indotto molti giovani a imbracciare nuove strategie.
La scomparsa di un fantasma – Sia ben chiaro, Al Qaeda esiste ed esisterà ancora. Ma ha cambiato pelle ormai da tempo, tanto da considerare Bin Laden una “non presenza”, un “santino” polveroso e vagamente retrò. Gli analisti più attenti perpetuano con convinzione il parallelo tra Al Qaeda e il franchising: per loro Al Qaeda si sarebbe trasformata in una sorta di “brand”, sfuggito alle sue convinzioni originarie e ai suoi stessi ideatori. Una galassia di cellule non più coordinate e affrancatesi da anni dalla guida di quell’uomo magnetico che è stato ucciso ieri. Ecco cosa festeggia il mondo: la scomparsa di un fantasma tagliato fuori dalla lotta e dalle logiche sanguinarie, un terrorista già epurato e isolato dai nuovi centri decisionali della jihad. Si è trattato davvero di una vittoria epocale (quella del bene contro il male) o dell’ennesima “balla” da propinare all‘Occidente credulone?
Maria Saporito