Africa Unite, Biografia, Intervista: Trent’anni in levare è il titolo della biografia degli Africa Unite, da pochi giorni nelle librerie. Trent’anni in levare è anche l’immagine di una band che, partendo da Torino e dintorni nel 1981, è stata capace di conquistarsi una posizione di primo piano all’interno del panorama reggae italiano e non solo.
Un libro davvero interessante dove Bunna e Madaski, fondatori e unici membri del gruppo presenti sin dall’inizio, svelano alcuni retroscena sconosciuti ai più e aneddoti davvero curiosi.
Newnotizie ha raggiunto Bunna, il quale ha risposto, in esclusiva per i nostri lettori, ad alcune domande, partendo da Bob Marley fino ad arrivare ai progetti futuri degli Africa Unite.
Trent’anni in levare è il titolo della vostra biografia, in questi giorni nelle librerie. Siete partiti da Bob Marley, il vostro nome è chiaramante evocativo; vent’anni dopo, nel 2001, avete celebrato il ventennale di Marley (e anche il vostro) con un album di sue cover. Ora, a distanza di dieci anni, avete messo nero su bianco la vostra storia. Possiamo dire che Bob Marley è il fil rouge della vostra storia?
Sicuramente possiamo dire che il progetto Africa Unite è partito da lui e grazie a lui. Abbiamo scoperto il reggae ascoltando i pezzi di Marley, abbiamo imparato come si suonava quel genere, all’inizio, cercando di imitare la sua musica.
E’ stata importantissima la sua figura. Ci ha fatto innamorare non solo della musica ma anche dell’attitudine intrinseca nel reggae: il messaggio.
Ci ha insegnato quanto sia importante usare la musica per dire delle cose, fare comunicazione. Con gli Africa, sin dall’inizio, siamo sempre stati molto attenti ai testi oltre che alle melodie e alla musica.
Ma la cosa importante è che, negli anni, abbiamo sempre cercato di fare un reggae che ci appartenesse, che fosse riconoscibile e lontano da quell’immaginario legato alla Giamaica che noi, in quanto italiani, non avremmo potuto comprendere.
Nelle pagine del vostro libro i lettori troveranno una serie di aneddoti davvero curiosi, molti peraltro sconosciuti ai più. C’è un episodio, in questi trent’anni, che ha in qualche modo segnato la vostra storia?
Di episodi ce ne sono chiaramente tantissimi, ma forse il momento cruciale della nostra storia è stato quando abbiamo cominciato a cantare in italiano. Non è stato facile, anche perché non eravamo abituati a sentire la nostra lingua su un ritmo come il reggae, ma col senno di poi pensiamo di essere riusciti ad aprire una strada che poi molti altri hanno percorso.
Questo accadeva nei primi anni novanta ed è anche lo stesso periodo in cui una casa discografica (Vox Pop) ci propose un contratto dopo i primi tre dischi che avevamo interamente autoprodotto. Poteva essere uno dei primi segnali che, forse, il nostro sogno, un giorno, sarebbe diventato realtà! E, per fortuna, così è stato!
La formazione degli Africa Unite negli anni si è più volte rinnovata, a parte i veri pilastri della band, ovvero tu e Madaski, presenti sin dalla fondazione. C’è qualcuno che rimpiangete in particolare? In che rapporti siete rimasti con gli ex membri della band?
Chiaramente in tutti questi anni sarebbe stato alquanto strano se non ci fossero stati dei “divorzi”.
Abbiamo condiviso il progetto con tanti musicisti che purtroppo, o per fortuna, per motivi diversi, hanno deciso di lasciare la band.
Con tutti quelli che hanno lasciato, col tempo, i rapporti si sono assolutamente rinsaldati al di là della motivazione che aveva portato alla dipartita. E’ chiaro che in un gruppo bisogna conciliare la compatibilità musicale ed umana in egual misura. Bisogna trovare il modo di gestire gli equilibri del gruppo,cosa non sempre facile. Ma la cosa che ci fa essere orgogliosi è che noi, nucleo originario del gruppo, siamo sempre stati compatti, uniti e determinati a lavorare insieme per un fine comune. Forse è questo il segreto di questo lungo sodalizio!
In questi anni Torino ha sopraffatto Milano come centro per i giovani e per la musica. Samuel dei Subsonica, sul palco di Milano libera tutti, raccontava di come anni fa fossero i torinesi a raggiungere Milano per “fare serata”, mentre oggi succede proprio il contrario. Cosa pensate in merito? Il nuovo vento che ha investito il capoluogo lombardo con l’elezione di Giuliano Pisapia pensate possa cambiare le cose?
Penso che la ragione di tutto questo è da ricercarsi negli anni ’90; da quel momento in poi Torino ha conosciuto una rinascita notevole. C’è sempre stato molto fermento musicale e non solo. Questo ha fatto si che un sacco di cose succedessero, tanti gruppi nascessero in città mentre Milano questa fase, forse, l’aveva già superata.
Al di là dell’aspetto musicale, in questi anni c’è stata una crescita anche dal punto di vista di situazioni sociali dove era ed è possibile fare politica, ascoltare musica dal vivo…
Questo è il motivo per cui anche i posti dove fare nightclubbing sono aumentati e diventati più interessanti con la conseguenza che il movimento di gente, a Torino, è cresciuto.
Se le cose cambieranno con l’avvento della nuova corrente non ci è dato saperlo, ma è auspicabile.
Se nasceranno più situazioni culturali/musicali sarà una cosa da cui i musicisti e anche il pubblico potranno trarre vantaggio.
C’è una canzone nel panorama reggae o più in generale in qualsiasi altro genere che avreste voluto scrivere voi?
Get Up Stand Up.
Quali nuovi progetti ci sono nel cantiere “Africa Unite”?
A breve un tour che ci porterà in giro per la penisola fino a settembre; nelle intenzioni in autunno vorremmo rifare un giro nei club europei sperando di raccogliere i frutti di quello che abbiamo seminato con il tour che ha toccato le maggiori capitali, fatto ad aprile.
Di lì in poi un po’ di riposo e idee per un nuovo disco.
Intervista a cura di Pier Luigi Balzarini
Si ringraziano Bunna e Artevox Musica per la disponibilità e la cortesia