Occupazione del Teatro Valle: tragedia e democrazia

Da giorni è in atto a Roma l’occupazione pacifica del Teatro Valle. Attori, scenografi, registi ed altri addetti ai lavori, si trovano all’interno della struttura per rivendicare i propri diritti professionali di artisti. Anche l’attore Elio Germano sta partecipando attivamente alla protesta, che si svolge nel più antico teatro al chiuso della Capitale. “Noi cittadini vogliamo contare di più nella gestione dei servizi: e i teatri sono un servizio, come l’acqua e gli ospedali”, ha detto Elio Germano, che attualmente sembra avere il ruolo di portavoce dei propri colleghi. Spettacoli, esibizioni, dibattiti ed assemblee si svolgono regolarmente all’interno dell’edificio occupato; l’impatto mediatico della manifestazione è decisamente alto.

Cosa chiedono i partecipanti a tale evento apologetico? Sicuramente più luoghi in cui dar modo ai giovani di formarsi nell’ambito del mestiere che hanno scelto, più limpidità per ciò che concerne i finanziamenti e più incentivi per chi ha meno di trent’anni. Il mondo del teatro è fra quelli che più hanno subito le conseguenze della crisi di cui tanti si sente parlare: se si fanno tagli sull’indispensabile è facile immaginare quale trattamento sia riservato al mondo dello spettacolo, da molti ritenuto poco più di un accessorio della società.

È davvero così che funziona? Se ci si trova a vivere periodi di crisi economica bisogna sacrificare ciò che non sembrerebbe essere imprescindibile e provare a far funzionare meglio il resto? Il problema diviene, a questo punto, quello di capire cosa sia davvero indispensabile per un Paese che spesso fatica ad arrivare a fine mese. L’Italia è una Repubblica Democratica fondata sul lavoro. Se ci soffermassimo sulle espressioni chiave di tale frase forse riusciremmo a giungere ad una conclusione. Il fatto che l’Italia sia fondata sul lavoro, significa, probabilmente, che sono le persone che lavorano a dare valore alla Nazione. Quindi? Quindi se si svilisce il mestiere di qualcuno, quel qualcuno sentirà necessariamente il dovere morale di ribellarsi. Lo farà per sé stesso? Sicuramente sì, ma non solo: lo farà anche per sentire che il suo lavoro, che dovrebbe essere il connubio fra talento e capacità, è uno dei pilastri della società in cui vive. “Repubblica” significa “cosa di tutti”, ed indica una forma di governo in cui il potere spetta ai cittadini che compongono lo Stato. Il termine più interessante della frase di cui sopra è “democrazia”. Perché? Perché è all’interno di tale parola che risiede l’indispensabilità del mondo del teatro, che subisce la tacita accusa di non-necessarietà. La democrazia è nata in Grecia, ad Atene. Il termine significa “governo del popolo”. Il concetto di democrazia è inscindibilmente legato a quello di teatro. Perché? Perché la democrazia è nata ad Atene insieme alla tragedia, ed è sopravvissuta fin tanto che è sopravvissuta la tragedia. Si può dire, senza risultare arditi, che la tragedia greca sia stata una delle più alte forme di democrazia che vi siano mai state, e che un Paese che non può prescindere dalla democrazia, non può, quindi, prescindere nemmeno dal teatro.

Martina Cesaretti