“Infinite Loss”: la morte di Wallace nel diario di un under 40

Sì, il titolo rimanderà immediatamente al capolavoro di David Foster Wallace (Infinite Jest) e non potrebbe essere diversamente, ma catalogare questo libro come l’ennesimo omaggio di uno scrittore a un genio narrativo inarrivabile – e per certi versi irraccontabile – come Wallace sarebbe un grosso errore. Cos’è allora Infinite Loss? Cosa attraversa le pagine di questo svelto libello compilato con amore e dolore dal giovane Salvatore Toscano? Il testo, edito da Epika, vi sorprenderà, consegnandovi immagini e confessioni vibranti, in una forma nuova e quasi sprovveduta. Fuori dagli schemi, dai canoni e dai recinti che costringono idee ed emozioni.

Non c’è comunione più profonda di quella che può essere celebrata tra le pagine di un libro. Scorrendo Infinite Loss (Epika edizioni, 48 pag., € 8,50) non riusciamo a toglierci dalla testa questo pensiero. Un’osservazione facile, quasi banale, ma non per questo meno valida. Nelle quaranta pagine del racconto-non racconto di Toscano è possibile cogliere lo scoramento di chi ha deciso di tributare la propria esistenza alla scrittura e prova a insinuarsi tra le falde del dolore di chi ha fatto lo stesso, nel tentativo (forse) di trovare qualche risposta o, più semplicemente, di sollevare qualche domanda rimasta taciuta. Come soffocata.

Dalla morte del grande David Foster Wallace (14 settembre 2008) prende l’avvio la vicenda raccontata, che dipana una storia insolita e sorprendente in cui il diario a cuore aperto dell’autore si coniuga alla critica più acuta e fulminante. Ne viene fuori una cronaca che, senza mai cedere al patetismo, fotografa le zone chiaroscurali dell’io, magnificando ogni cosa all’altare di quella comunione che è possibile cementare tra chi scrive e chi legge. A ben vedere, Infinite Loss è l’atto d’amore di un giovane talento come Toscano, che – folgorato dalla piena bellezza della scrittura – consegna il consiglio più prezioso: bisogna leggere per “attraversare i propri abissi” e per “sperimentare quella pervadente compagnia” che ti conduce alla solitudine.

E non è tutto, perché per rendere più autentico il suo viaggio l’autore sceglie di ricorrere alla visionarietà, in un’economia della forma che ne certifica la maturità narrativa. L'”infinita perdita” dello scrittore di Pomigliano d’Arco è, in ultima analisi, una grande conquista. Personale e collettiva. Una conquista dolorosa, raggiunta attraverso un’autoanalisi a tratti spietata, ma necessaria per mettere a fuoco cedimenti e convinzioni. E per dedicare al grande maestro statunitense l’omaggio funebre più sincero e “sgangherato” perché “il massimo che ci è concesso – ricorda Toscano – è far pascolare la nostra intelligenza e la nostra sensibilità dentro tutto questo disordine doloroso”.

Maria Saporito