Recensione – Sono seduto in tribuna centrale: buona posizione, la visuale del palco e l’audio sono ottimali, anche se sono circondato da famiglie e non credo che potrò scatenarmi più di tanto. Poco male; anzi, a dire il vero preferisco. Vicino a me sfila Nanni Moretti, e pochi minuti dopo vengono a sedersi Fiorello e la Hunziker con le rispettive famiglie. Il pubblico circostante dimentica il povero Vasco Brondi di Luci della centrale elettrica (che apre il concerto di stasera, catturando l’attenzione di pochi appassionati sul prato) e iniziano a fotografare i due divi della tv. “Poveracci – penso – neanche ai concerti possono starsene tranquilli. Non li invidio”. Soldi e fama a parte, ovviamente.
Alle 21.30, un filmato di Quark viene proiettato sullo schermo: Piero Angela parla di universo, stelle e Big Bang; al solo udire questa ultime due parole parte il boato del pubblico. Entra Jovanotti, ed è subito un bombardamento di suoni: si parte con Megamix e una sfilza di canzoni per lo più tratte dall’ultimo album Ora; hanno quasi tutte ritmiche dance, incessanti, ossessive, mentre la melodia è decisamente in secondo piano. Non il meglio della sua produzione, a dire il vero, almeno a mio parere. Motivo per cui sto seduto sulla sedia e non faccio una piega; al massimo, ogni tanto, porto il tempo con il piede.
La disposizione del palco non è delle mie preferite: amo quando i cantanti sono circondati dai musicisti. Qui invece no: un terzo del palco, a sinistra, è sovrastato da led, e al di sotto, abbastanza nell’oscurità ci sono gli strumentisti. I restanti due terzi del palco sono sovrastati da un maxi-schermo gigante e sono aperti alle scorribande di Jova, che corre, urla e si dimena come uno sciamanto in giacca e cravatta, disinvolto e a tratti fintamente goffo. La coordinazione di Lorenzo con gli effetti visivi processati in tempo reale sugli schermi è impressionante; a dire il vero, metà dello spettacolo è quello. E Cherubini lo sa bene.
Tornando a me, comunque, inizio a riprendermi dopo la violenza sonora un po’ sterile dell’apertura di concerto e la situazione migliora decisamente. Jova si concede un assolo di batteria – che introduce l’irresistibile L’ombelico del mondo – e qualche emozionante ballata (Le tasche piene di sassi riempie di lucciole la notte dell’Olimpico; anche se poi guardo bene, e mi rendo conto che non sono lucciole, ma migliaia di cellulari alzati con chiamate in corso; la mia amica che è accanto a me ha addirittura due cellulari tra le mani; mai viste così tante dediche telefoniche contemporaneamente). C’è anche un intermezzo acustico, dove spicca una gradevolissima versione in chiave bossa nova di Punto.
La temperatura sale sempre di più: Ragazzo fortunato, nella sua semplicità è un inno alla gioia, anche se la conclusiva La Bella Vita non è travolgente come un concerto del genere meriterebbe in chiusura. Dopo due ore di musica quasi ininterrotta, comunque, mi resta in mente solo una parola. Anzi, tre: ritmo, ritmo, ritmo. E mi è chiaro che l’essenza della musica di Lorenzo Cherubini, in arte Jovanotti, è tutta lì.
Roberto Del Bove