Ad Istambul per trovare il modo di far cadere il regime di Bashar al Assad. A riunirsi oggi sono stati 350 dissidenti siriani. Un appuntamento atteso in contemporanea anche a Damasco, cancellato però a causa delle violente repressioni messe in atto dalla polizia. Quello in corso nella capitale turca è stato battezzato il “congresso di salvezza nazionale”, iniziato con un minuto di preghiera e l’inno nazionale. Il tutto in una sala conferenze colorata dalle bandiere siriane.
Un momento anche per ricordare la strage che la polizia di Stato ha compiuto ieri ai danni di chi annunciava la manifestazione di oggi a Damasco. Diciannove persone uccise, un centinaio i feriti finiti in ospedale. Stando agli attivisti siriani, ai morti di Damasco si aggiungerebbero una ventina di civili uccisi in tutto il Paese.
Motivo in più per rilanciare le ragioni del congresso. Il quale, dicono gli organizzatori, “punta a raggiungere una road map che possa permettere al Paese di uscire dal totalitarismo e dalla tirannia per raggiungere un percorso democratico”. Auspicio che, stando ai numeri delle manifestazioni di ieri, mostra la strenua volontà di un popolo di proseguire nel percorso di rivolta.
Più di un milione, infatti, le persone che hanno manifestato ieri nelle città della Siria. Ad Hama, cittadina a 200 chilometri a nord di Damasco, 500 mila persone sono scese in piazza. Stesse cifre a Deir Ezzor, come ha confermato Rami Abdel Rahman, dell’Osservatorio siriano dei diritti umani. Il quale ha riferito anche di 300 arresti, avvenuti sempre ieri, nell’ambito delle operazioni di repressione. Numeri impressionanti. Ai quali però si oppongono quelli della repressione. Quarantuno le persone uccise ieri, fra le quali un bambino nei pressi di Damasco. Quattro persone a Duma e due in Kadam. Dall’inizio della rivolta (metà marzo scorso) 1.400 civili hanno perso la vita a causa delle violente repressioni messe in atto dalle forze di polizia.
Cristiano Marti