Yara, la confessione in una lettera: L’ho uccisa io, la volevo

A distanza di più di cinque mesi dal ritrovamento del cadavere di Yara Gambirasio, il giallo di Brembate di Sopra, che iniziò a fine novembre 2010 quando la tredicenne scomparve dopo essere uscita dalla palestra della cittadina bergamasca, rimane senza una soluzione, senza un colpevole, né un movente.
In compenso tantissime sono state le piste suggerite da anonimi informatori o da sedicenti veggenti: stando a una nota dell’agenzia stampa Agi sarebbero oltre duecento le lettere inviate agli inquirenti dal novembre scorso. Episodi in cui, il più delle volte, viene messo in mostra il bisogno di protagonismo di chi trova, nelle attenzioni che i media riservano al trattamento di queste storie, il palcoscenico adatto per ottenere un pezzetto di fama.

Confessioni – L’ultima lettera in ordine di tempo giunta agli investigatori della Procura di Bergamo è quella contenuta in una busta che porta il timbro del centro meccanografico delle Posta di Genova.
Colui che l’ha scritta, e inviata a L’Eco di Bergamo, ha utilizzato le due facciate di un foglio A3 ma soprattutto si dichiara l’assassino della povera Yara. Queste alcune delle parti della missiva, adesso sotto l’attenzione dei Ris di Parma:

“(Andavo) vicino al centro sportivo per conoscere qualche ragazzina, perché le donne non me vogliono, mi imbarazzo con adulti. […] Verso fine settembre passavo vicino a palestra con la mia macchina e con delle scuse avevo conosciuto una con quel nome. Finimmo con il simpatizzare eppure mi sembrava di piacere a lei perché me sorrideva quando le chiedevo se aveva il ragazzo fisso. […] gli offrivo un passaggio a casa verso le 18,50. Con una scusa le dissi che dovevo passare un attimo al posto di lavoro a Mapello. Verso le 19 arrivammo a Mapello, in macchina le squillò il cell. La convinsi a spegnerlo, lei aveva già capito le mie intenzioni. Una volta fermata la macchina si spaventò e tentò di scappare, prima mi colpì ai testicoli e il suo cell. mi cadde addosso. Lo presi e lo disattivai. Lei intanto era appena scappata fuori de macchina. Avevo perso la testa per il fatto che poteva rovinare il mio corpo. La insegui nel campo dietro cantiere avevo un coltello poi presi una pietra e senza rendermi conto la colpii alla testa. Pensavo che era meglio chiamare il 118 e poi scappare ma preso dal panico la caricai in macchina e (..) portai il corpo in un campo più sicuro di Mapello”.

S. O.