Contributo di solidarietà sui calciatori. Un problemone. Sembrebbe ironia, ma non lo è. Da una parte ci sono Adriano Galliani, amministratore delegato del Milan, squadra di proprietà del presidente del Consiglio, e Roberto Calderoli, leghista di ferro della prima ora, che ha minacciato di “raddoppiare la tassa”, se i giocatori continueranno a protestare, dall’altra Damiano Tommasi, ex Verona e Roma e ora a capo dell’Assocaciatori. Il contributo di solidarietà imposto dal Governo per i redditi sopra ai 90.000 euro, ha scatenato un putiferio mediatico nel mondo del calcio. Chi deve pagare questa benedetta tassa? Chiunque sia è plausibile pensare che non gli mancheranno i soldi per farlo, ma il problema rimane comunque.
C’è un contratto da rispettare. Appunto quello dei calciatori, spiega Tommasi, che il più delle volte firmano un contratto sul netto e non sul lordo. Ciò significa una cosa sola. Per loro niente tasse. Non nel senso che non le pagano ovviamente, ma che per loro lo fa la società. Il loro guadagno netto è quindi calcolato anche in base alle imposte da pagare. Quindi, siccome il contributo di solidarietà è una tassa, afferma ancora Tommasi, non spetta ai calciatori pagarlo, che già “sono tra i massimi contribuenti dello Stato”.
No secco di Galliani. l’Ad rossonero è stato piuttosto chiaro: “Possono protestare per tutta la vita, vorrà dire che manderemo in campo la primavera“. Poi pone una domanda secca: “perchè chi guadagna 3500 euro al mese dovrebbe pagare il contributo di tasca sua e chi ne guadagna 20.000 no?” Già, perchè?. Vedi sopra, c’è un contratto “con clausole che non si possono cancellare da un giorno all’altro” spiega ancora Tommasi. “Possono sempre farmi causa” risponde indirettamente Galliani, che di certo non le ha mai mandate a dire a nessuno.
L’esperto dice: “dipende da come verrà formulata la legge”. Victor Uckmar, fiscalista di consolidata fama spiega che a prescindere dal fatto che “se i giocatori pagassero sarebbe un segnale positivo”, va detto che se dovesse trattarsi di un “tributo autonomo” allora graverebbe sui giocatori, ma se fosse invece una vera e propria tassa, rientrerebbe nel regime Irpef a carico delle società, visto che appunto i giocatori firmano sul netto. E quindi?
A.S.