“This is England”: un film “indie” di successo, tra skinhead, razzismo e paternità

Recensione in anteprima – “Ogni cosa è illuminata dalla luce del passato, è sempre lungo il nostro fianco”. Così scriveva Jonathan Safran Foer nel suo capolavoro d’esordio, e non si potrebbe essere più d’accordo con questa affermazione. Anche Shane Meadows, regista di questo This is England sembra pensarla così, visto che l’Inghilterra dei primi anni ’80 da lui rappresentata ricorda per certi versi (purtroppo) quella di oggi. A conferma di quanto scriviamo vanno anche le manifestazioni vandaliche che nelle ultime settimane hanno devastato Londra, con il carico di odio sociale, repressione e recessione economica che si portano dietro. Insomma, dalla Tatcher a Gordon Brown non sembra essere passato molto, e il concetto è ottimamente dimostrato da questo film, una vera e propria storia di formazione ambientata nel mondo degli Skinhead, ma anche un affresco di un’età che conteneva in nuce tutti i germi del male di oggi.

Il film è ambientato nell’Inghilterra periferica dell’East Midland, nell’estate del 1983. La scuola è finita e il dodicenne Shaun, vittima del bullismo dei compagni, viene adottato da un gruppo di skinhead più grandi. Lo accolgono, lo vestono della loro divisa e lo portano con loro a bere birre, ascoltare musica reggae e ska e fare qualche bravata. Nonostante le apparenze, però, sono tutti dei bravi ragazzi. A rompere gli equilibri del gruppo e a esplicitare il senso politico del loro vestiario paramilitare arriva Combo, un ex galeotto, mosso da una rabbia profonda. Chiede al gruppo di adottare comportamenti più violenti e razzisti ma non tutti accettano. II piccolo Shaun aderisce, per vendicare il padre morto alle Falklands e inizia così la sua iniziazione alla violenza.

Una storia di formazione, dicevamo. Shane Meadows in realtà si districa tra piani differenti: quello dell’autobiografia (anche lui fu uno skinhead), quello della denuncia sociale, il sentimento amoroso e l’esistenziale problema della paternità. Questi elementi si intrecciano senza dividersi in compartimenti stagni: l’insofferenza sociale va a braccetto con i problemi personali, sentimentali e famigliari degli individui. Senza temere giudizi Meadows propone un film asciutto, pregno di realismo, storicamente caratterizzato in maniera vivida e convincente. Il piglio è smaccatamente “indie” (per usare una categoria che ora va per la maggiore), e sintomo di questo è la scelta del protagonista, il giovane Thomas Turgoose, che a tredici anni si sobbarca un peso non indifferente (compare in tutte le scene del film) nonostante provenga dalla strada e sia stato selezionato dal regista all’interno di una struttura per ragazzi svantaggiati.

Insomma, un vero e proprio approccio “dalla strada” che ricorda il nostro neorealismo, da cui Meadows sembra aver acquisito qualcosa, anche in termini di contrapposizione tra mondo dei più piccoli e mondo adulto (pensare a I bambini ci guardano di Vittorio De Sica, ad esempio). E pienamente azzeccato sembra il commento sonoro, affidato a pezzi Reggae/Punk dell’epoca e alle invenzioni del Maestro Ludovico Einaudi, che completa questo quadro di commozione non forzata, di crudeltà che scaturisce dalle situazioni e su cui il regista non calca la mano – o perlomeno, non oltre il necessario, alla ricerca di un esasperato patetismo.

Questa ricerca di indipendenza non ha però impedito al suo film di ottenere importanti riconoscimenti a livello internazionale come il Gran Premio della Giuria al Festival di Roma, il titolo di Miglior Film ai Bafta nel 2008 e due riconoscimenti al British Indipendent Film Award. Il film – sebbene girato nel lontano 2006 – esce in Italia solo il prossimo 26 agosto, distribuito da Officine Ubu, che ha riparato a questo colpevole disinteresse di molti distributori italiani. Piuttosto miopi, verrebbe da aggiungere.

Roberto Del Bove