Dall’ Icmesa di Seveso all’ Ilva di Taranto: trent’anni di diossina in Italia. Parte 1

10 luglio 1976 ore 12;40: La nube di diossina

Nella fabbrica di cosmetici dell’Icmesa a Seveso la valvola di sicurezza del reattore chimico si rompe e fuoriesce una nube di vapore che il vento trasporta per qualche chilometro in direzione sud-est, sopra le città di Meda e Cesano Maderno. Nello stabilimento si produce triclorofenolo, che sopra i 156 gradi si trasforma in 2, 3, 7, 8-tetracloro-dibenzodiossina (Tcdd), un tipo di diossina particolarmente tossica, e a seguito dell’incidente, in un’area dove all’epoca vivevano circa 100000 persone, si sviluppa una nube di gas contenente 10-12 kg di diossina che colpisce direttamente 158 lavoratori dello lavoratori dello stabilimento, 37000 abitanti della zona, gli animali, e inquina gravemente il suolo.

L’assunzione di Tcdd, anche in piccole dosi, può causare tumori e danni gravi al sistema nervoso, a quello cardiocircolatorie al fegato e ai reni, riduce la fertilità, e nelle donne incinte può provocare malformazioni al feto e aborti spontanei. Gli effetti immediati sulla popolazione sono stati evidenti soprattutto da un punto di vista dermatologico: già dopo due giorni sono comparsi i primi casi di cloracne, una malattia di cui è documentata la correlazione con la diossina. A partire dal 1986 sono stati condotti svariati studi epidemiologici sulla popolazione abitante nelle zone contaminate, l’ultimo dei quali (2009) conferma i risultati ottenuti nel 2001 dall’Università di Milano nel quale si metteva in evidenza una netta associazione tra esposizione materna a Tcdd ed alterazioni della funzione neonatale tiroidea in una ampia popolazione esposta dopo l’incidente di Seveso.

In questa nuova indagine, invece, gli esperti hanno misurato l’incidenza di vari tumori negli abitanti di tre zone variamente esposte alla Tcdd. Hanno considerato tre zone di esposizione decrescente (concentrazioni decrescenti di Tcdd nel suolo) denominate A (molto alta), B (alta), R (bassa), e una zona ‘franca’ dall’inquinamento, coprendo un periodo che va dal 1977 al 1996. È emerso che l’incidenza di cancro al seno è più alta nelle donne che abitavano la zona A durante l’incidente o vi sono nate o migrate dopo. L’incidenza di tumori linfatici o del sangue è invece più alta sia nella zona A sia nella B per entrambi i sessi.
Lo studio conferma che la diossina sparsa a Seveso è cancerogena e, concludono i ricercatori, a rischio sono non solo le persone direttamente esposte perché abitavano lì al momento dell’incidente, ma anche quelle arrivate dopo e i nati da donne esposte alla contaminazione.

“ Il peso ricadeva, però, soprattutto su di noi. E quando dico noi intendo persone come me: giovani scienziati, dotati di grande entusiasmo ma poca esperienza. Invece di esperienza ne sarebbe servita: noi eravamo chiamati a lavorare come manovali, cercavamo di annusare l’epidemiologia, ma il problema era superiore alle forze messe in campo.” Luigi Bisanti epidemiologo che lavorò a Seveso subito dopo il ‘76.

Alice Ughi