Lezioni dal passato. Un confronto tra il riscaldamento globale del Paleocene e quello odierno.

Il professor Lee R. Kump della Pennsylvania State University è specializzato nello studio dei riscaldamenti globali, sia quello attuali che quelli del passato. Nel 2007 si è recato nell’arcipelago norvegese delle Svalbard, insieme ad altri geologi e climatologi, per cercare nelle rocce locali chiarimenti riguardo al cosiddetto PETM (Paleocene-Eocene Thermal Maximum), ovvero “massimo termico del Paleocene-Eocene”, periodo durante il quale secondo gli studiosi le temperature globali aumentarono di 5 gradi in poche migliaia di anni (un’inezia in termini geologici).

Il PETM fu causato da un’enorme emissione di gas serra, che intrappolarono il calore nell’atmosfera e negli oceani, di volume paragonabile a quello che il nostro continuo consumo di combustibili fossili potrebbe produrre nei prossimi anni. Il fatto che questo fenomeno sia stato causato da un rilascio di gas serra fuori dal normale è noto fin dal 1990, quando due ricercatori statunitensi identificarono il PETM in una registrazione climatica di vari milioni di anni, contenuta in una carota di sedimenti estratti dal fondo marino vicino all’Antartide.

La situazione sul finire del Paleocene fu accentuata dalla fusione del permafrost nelle regioni polari, che è un terreno ghiacciato in modo perenne che conserva al suo interno piante morte per milioni di anni. Quando il permafrost si scioglie i microbi entrano in azione nutrendosi dei resti organici, emettendo grandi quantità di metano.  Un altro evento collaterale dell’iniziale rilascio di gas fu che gli oceani assorbirono molta anidride carbonica, che produsse un eccesso di acido carbonico, processo noto come acidificazione. Lo studio dei fossili rivela che gli esseri viventi marini furono incapaci di adattarsi: si estinsero tra il 30 e il 50 per cento delle specie di foraminiferi.

Durante la spedizione del 2007 del professor Kump, il gruppo di ricercatori incontrarono un geologo del luogo che lavorava per una compagnia mineraria norvegese ed aveva conservato migliaia di carote che comprendevano strati di sedimenti che includevano l’era del PETM.  A Kump e ai suoi colleghi non rimase che estrarre campioni da parti selezionate delle carote, per poi analizzarli chimicamente in laboratorio. Le analisi furono effettuate su oltre 200 strati, permettendo una ricostruzione della variazione nel tempo degli isotopi di carbonio.

Lo studio di questi campioni ha portato ad alcune conclusioni importanti, illustrate tra l’altro in un articolo uscito su “Le scienze” di settembre: il rilascio di gas durante il PETM è durato 20000 anni, con un tasso di immissione di carbonio in atmosfera di meno di due pentagrammi l’anno, una piccola frazione del tasso a cui l’attuale uso di combustibili fossili sta immettendo gas serra in atmosfera. Al momento attuale anni di deforestazione, automobili e centrali elettriche a carbone hanno aumentato l’anidride carbonica di oltre il 30 per cento in circa dieci anni e continuiamo ad immettere in atmosfera 9 pentagrammi di carbonio all’anno.

Da un punto di vista ecologico e di biodiversità le conseguenze dell’odierno riscaldamento globale sono svariate e drammatiche. Ci sono chiari segni di acidificazione delle acque superficiali, estinzioni di varie specie, migrazione di piante ed animali molto spesso portatrici di malattie, o infestanti, i ghiacciai si stanno sciogliendo, episodi di siccità ed alluvioni si stanno intensificando.

Forse il PETM non rimarrà l’ultimo grande riscaldamento globale.

Alice Ughi