Sembra restringersi il cerchio dei sospettati per l’omicidio di Yara Gambirasio, la ragazzina di Brembate uccisa il 26 novembre 2010. Centinaia di dna sono stati prelevati tra gli abitanti del piccolo comune in provincia di Bergamo, e comparati con quelli rinvenuti sul corpo della giovane vittima; eppure, secondo quanto riportato da un articolo pubblicato sul settimanale ‘Oggi’, dopo circa un anno dall’inizio dell’inchiesta, l’attenzione degli inquirenti torna di nuovo al cantiere di Mapello.
Indizi portano al cantiere – Durante le prime ore di indagini, infatti, quando ancora si riteneva che Yara fosse solo scomparsa, le ricerche si erano concentrate proprio nel luogo dove erano in corso i lavori per la costruzione di un grande centro commerciale. Gli investigatori, supportati dall’infallibile olfatto dei cani molecolari, che avevano fiutato le tracce di Yara fino al cancello del cantiere, avevano perlustrato palmo a palmo tutta la zona ed interrogato gli operai presenti, nella speranza che qualcuno potesse aver visto o sentito qualcosa, ma della ragzzina nessuna traccia. Credendo in un errore grossolano dei segugi, gli inquirenti avevano, dunque, deciso di seguire altre piste: eppure, ogni elemento nuovo che veniva scoperto, riconduceva immancabilmente a quel misterioso cantiere. Inizialmente fu arrestato Mohamed Fikri, il piastrellista fermato, mentre tentava di imbarcarsi per il Marocco, a causa di un’intercettazione nella quale sembrava stesse confessando l’omicidio della piccola Yara; ma, successivamente rilasciato poiché si ritenne che l’interprete avesse tradotto in maniera non corretta la telefonata. Ma è con l’autopsia effettuata dal medico legale Cristina Cattaneo che le luci sul cantiere di Mapello si sono riaccese. Secondo i risultati consegnati dall’anatomopatologa, infatti, Yara sarebbe stata colpita con un taglierino da piastrellista: inoltre, nei suoi polmoni, sono stati trovati residui di pulviscolo di cemento, compatibile con quello utilizzato durante i lavori nel cantiere. Altro elemento di rilievo, i frammenti di una stoffa di colore rosso rinvenuti sugli indumenti della ragazzina, che farebbero pensare ai tappeti utilizzati dagli operai per ricoprire i pavimenti. Yara, dunque, potrebbe essere stata uccisa all’interno del cantiere di Mapello, avvolta, poi, in un tappeto e abbandonata, ancora viva, nella zona industriale di Chignolo d’Isola, dove sarebbe morta, solo molte ore dopo, a causa del freddo.
Il furgone bianco – Se questa riscostruzione fosse corretta, secondo il settimanale ‘Oggi’, il cerchio sui possibili omicidi si restringerebbe a tre persone, le sole che erano presenti sul cantiere quella tragica sera del 26 novembre: il titolare dell’azienda, Mohamed Fikri ed il custode. Inoltre, la posizione di Fikri risulterebbe ancora più sospetta alla luce del fatto che, il giorno in cui fu fermato, aveva imbarcato sulla nave diretta in Marocco anche un furgone bianco, forse proprio lo stesso mezzo avvistato da alcuni testimoni all’uscita della palestra frequentata da Yara. Furgone del quale, inspiegabilmente, non si hanno più notizie. Se davvero l‘assassino di Yara è all’interno di questo ‘cerchio di sospettati’, quale potrebbe essere allora il movente che l’avrebbe spinto ad ucciderla? La violenza sessuale, seppure tentata, sembra non sia stata consumata e non certo perché l’aggressore non avesse la forza di contrastare la reazione della tredicenne. Si potrebbe escludere, dunque, l’abuso sessuale dai possibili motivi dell’assassinio. Sarebbe lecito sospettare, a questo punto, che il movente dell’omicidio possa essere collegato in qualche modo al lavoro del padre di Yara, che svolge la professione di geometra proprio nel campo edile: ma a questo, come agli altri interrogativi, auspichiamo che siano gli inquirenti a trovare una risposta e che lo facciano nel minor tempo possibile.
Francesca Theodosiu