Antonio De Robertis, studioso della figura e delle opere di Vincent Van Gogh, ha recentemente approfondito alcune questioni che riguardano da vicino l’artista, e ha deciso di parlarne con noi.
Signor De Robertis, cosa c’è, a suo parere, che non va nell’attuale organizzazione della ricerca e degli studi per ciò che riguarda la figura e l’opera di Vincent Van Gogh?
Negli ultimi anni chi si è occupato di Van Gogh,per lo più biografi improvvisati, si è cimentato nell’invenzione di cose assurde ma che hanno sull’opinione pubblica una presa incredibile e fanno vendere il prodotto. Secondo tanti finti informatori, Gauguin avrebbe mozzato l’orecchio a Van Gogh con un colpo di fioretto, oppure si sarebbe auto-mutilato per fare un dispetto al fratello appena fidanzato, oppure sarebbe morto per essere finito in mezzo ad un gioco cretino fra due fratelli adolescenti e annoiati. Ma dov’è finita la dignità dell’informazione?
Cosa dovrebbe cambiare a suo parere?
Per me dovrebbero cambiare le istituzioni, il Museo Van Gogh in testa. Alcune idee dovrebbero essere, a mio parere, bloccate anziché venire incentivate. Un esempio? Quella di pubblicare una nuova monumentale biografia di Van Gogh lunga più di mille pagine,che ripete cose oramai trite e ritrite. Si pensi, piuttosto, a incoraggiare quei pochi studiosi attuali,due o tre,rimasti sulla linea di grandi predecessori, John Rewald, Marc Edo Tralbaut, Louis Pierard per fare solo alcuni nomi. Uno di questi è Benoit Landais.
Ultimamente si sente parlare spesso della morte di Van Gogh, e se ne cambiano anche le “versioni”. Ci spiega cosa pensa a proposito?
Sull’argomento è stato scritto molto, ma se si vuole andare al cuore della verità basta far parlare coloro che erano sul luogo quella maledetta domenica pomeriggio del ventisette luglio milleottocentonovanta o nei giorni immediatamente successivi. Cinque persone su tutte hanno dato un lucido resoconto degli avvenimenti in questione: innanzitutto Vincent stesso; poi Paul Gachet junior,figlio del dottore, allora sedicenne; Adeline Ravoux, la tredicenne figlia dell’albergatore; Emile Bernard,amico fraterno di
Vincent e René Sécretain, l’allora sedicenne oggi accusato da alcuni di aver ucciso Van Gogh per sbaglio. I racconti di costoro e di altri testimoni attendibili, che possono essere trovati fra gli ultimi articoli del mio http://www.vangoghiamo.altervista.org , convergono in un punto:Van Gogh si suicidò.
Recentemente lei ha approfondito la questione di alcuni dipinti venduti
da Theo Van Gogh. Ce ne parlerebbe?
Proprio ieri ho risolto un enigma non da poco. Nel millenovecentosessantaquattro Marc Edo Tralbaut, grande vero esperto di Van Gogh, scopre e pubblica per la prima volta una lettera di Theo Van Gogh dell’ottobre del milleottocentoottantotto, in cui il fratello del pittore avverte i mercanti d’arte Sulley e Lawrie di Londra di aver spedito i due quadri da loro acquistati presso la galleria Boussod&Valadon di Parigi. Si trattava di un paesaggio di Corot, e di un autoritratto di Vincent Van Gogh. Questa sarebbe già una notizia sensazionale, perchè fino ad allora si pensava che Van Gogh avesse venduto un solo quadro in vita, Il vigneto rosso. I due dipinti di cui sopra non sono stati mai nemmeno rintracciati. Proprio ieri ho chiuso una ricerca che ha rintracciato una rara acquaforte tratta proprio dal dipinto di Corot che ho finalmente individuato e ho portato anche prove convincenti che l’autoritratto di Vincent sia invece un dipinto da me rintracciato quattro anni fa,che ha per soggetto un boscaiolo in un paesaggio arlesiano,intento ad abbattere due pioppi. Queste sono scoperte degne di nota, ma nessuno ne vuole sapere.Se qualcuno volesse sapere di più di questa avvincente storia, il mio sito è sempre aggiornato.
M.C.