I tagli non bastano più. L’Unione Europea è tornata ieri ad incalzare l’Italia per chiedere che il Governo Berlusconi ponga all’ordine del giorno l’approvazione di un decreto sviluppo all’altezza delle sfide di una crisi economica che sempre più richiede misure efficaci per far uscire il nostro Paese dalla stagnazione economica.
“La Commissione Ue – ha spiegato il portavoce del commissario dell’Unione Europea agli Affari Economici Olli Rehn – prende nota dello slittamento del decreto sviluppo in Italia e chiede al governo di finalizzare con la massima urgenza forti misure per la crescita“.
“La Ue è sull’orlo del baratro, – ha aggiunto la Presidente di Confindustria Emma Marcegaglia, in occasione del meeting organizzato a Bolzano con i colleghi industriali tedeschi – la speranza è che i leader europei, in extremis, trovino una soluzione”.
Le risposte del PD, allinearsi alla BCE? – A fronte anche delle ultime sollecitazioni provenienti dall’Unione Europea e dalle realtà produttive del Paese, tutte le opposizioni hanno espresso il proprio scetticismo rispetto alle capacità di governo dell’attuale maggioranza, che si prepara ad approvare un decreto sviluppo senza copertura economica e molto probabilmente privo di provvedimenti strategici per superare la crisi.
Non mancano, in ogni caso, forti contraddizioni anche nel campo del centrosinistra, con il Partito Democratico alle prese con posizioni strategicamente divergenti, emerse a partire dalle valutazioni date sulla lettera inviata al Governo dalla Banca Centrale Europea.
“La cosa inusuale non e’ la lettera, – aveva spiegato il vice segretario Enrico Letta all’ultima direzione nazionale del partito – la cosa inusuale e’ che la Bce abbia preso una decisione politica: salvare la Spagna e l’Italia. […] La Bce ha salvato e sta salvando l’Italia“.
Una posizione concordata con l’area moderata del PD – articolata in mille correnti intorno a Veltroni, Prodi, Renzi, Parisi… – nel tentativo di arginare le analisi politiche, condivise largamente da Pierluigi Bersani, del responsabile economico Stefano Fassina che aveva giudicato negativamente l’intervento della Bce in quanto “non e’ un organo democraticamente eletto”.
Aprire alla Bce per far fuori la sinistra – Intorno al dibattito interno al PD sulle politiche economiche si gioca, d’altronde, buona parte del futuro delle alleanze che andranno a costituire l’alternativa elettorale al centrodestra e a Berlusconi (o a un suo ipotetico “delfino”).
I “democratici” più vicini alle posizioni di Confindustria e Marchionne e ai diktat dei “tecnocrati” della Bce, infatti, coincidono con quanti lavorano con maggior forza ad escludere dallo schieramento elettorale le forze di sinistra, privilegiando un rapporto obbligato con il Terzo Polo e tentando di raccogliere intorno al PD un vasto campo di forze cattoliche e moderate: dai fedelissimi di Veltroni ai rottamatori di Renzi, passando per i firmatari del “manifesto” dei trentenni pubblicato su “Il Foglio” e incardinato su una teoria ultraliberista articolata in proposte di riforma previdenziale, superamento dello Statuto dei Lavoratori e dell’articolo 18, contrasto alle posizioni politiche assunte dalla CGIL.
Uscire a sinistra dalla crisi: l’altra faccia del PD – Con il dibattito sulla crisi scoppiato ad agosto le articolate minoranze interne del Partito Democratico hanno, quindi, individuato un nemico comune nel segretario Pierluigi Bersani e, in particolare, nell’area dei suoi fedelissimi che hanno espresso la “svolta a sinistra” del partito.
La scorsa domenica a L’Aquila, infatti, si è svolto il convegno “Idee per la ricostruzione, rifare l’Italia”, che ha visto la partecipazione, oltre che di Stefano Fassina, del Presidente della Provincia di Roma Nicola Zingaretti e del governatore della Regione Toscana Enrico Rossi. Due amministratori che, non a caso, governano grazie al sostegno decisivo della sinistra – Sinistra Ecologia Libertà e Federazione della Sinistra (Rifondazione e PdCI) – e che hanno sempre chiuso le porte ad allargamenti al centro, anche nei confronti del solo UDC.
Mettendo in discussione i precetti neoliberisti dell’area moderata – e intrattenendo stretti rapporti con la CGIL e la FIOM e anche con realtà radicalmente alternative come i comitati per l’acqua pubblica prima e gli “indignati” poi – i “cinquantenni bersaniani” puntano a stilare un programma economico incardinato su parole d’ordine di “sinistra”, come una tassa patrimoniale, il salario minimo garantito, una lotta stringente all’evasione fiscale, la difesa dell’articolo 18 e la cancellazione dell’articolo 8 dell’ultima manovra economica…
Parole d’ordine per un’alternativa che guarda a sinistra, a Vendola, a SEL e alla FdS, al popolo della sinistra “indignato” e stanco di un sistema liberista incapace di riformarsi.
Il “nuovo Ulivo” parte anche da qui.
Mattia Nesti