Delocalizzazione dei call center: in fuga dall’Italia

 

La delocalizzazione. Con questo termine si intende il trasferimento della produzione di beni e servizi in altri Paesi, in genere in via di sviluppo o in transizione, dove il costo del lavoro è più basso. La delocalizzazione delle aziende è un fenomeno sempre più frequente. In senso stretto, ci si riferisce ad uno spostamento della produzione da imprese poste sul territorio di un determinato Stato ad altre localizzate all’estero. Secondo i rapporti della CGIL, si tratta di «operazioni oscure che spesso sono finite in fascicoli giudiziari (come nei casi Phonemedia e Omega, per citare i più clamorosi)».

 

Call Center in fuga. La migrazione delle aziende italiane in Paesi stranieri è, ormai, una realtà con cui dobbiamo fare i conti. Una migrazione silenziosa, di cui le imprese italiane preferiscono non parlare per una “questione di immagine”. Da un’inchiesta dello street magazine Terre di Mezzo è emerso come, negli ultimi cinque anni, si stia assistendo anche alla delocalizzazione dei call center italiani in Paesi come la Romania, l’Albania, la Turchia e la Tunisia. Qui molti giovani, grazie alla televisione italiana che seguono da sempre, conoscono e parlano la nostra lingua. Ciò permette agli studenti di candidarsi per lavorare nei call center dove possono guadagnare da 1,5 ai 2,5 euro all’ora, per un totale che va dai 150 ai 450 euro al mese. Una cifra non indifferente, considerando il fatto che lo stipendio medio di un dipendente statale in Albania è di circa 200 euro.

 

Italiani a casa. Ma quali sono gli effetti delle “delocalizzazioni selvagge” per gli italiani? Costi sociali altissimi, secondo la CGIL, che vedono «accentuata la debolezza contrattuale e le condizioni di lavoratori che già in partenza ricevono salari tra i più bassi del settore privato (-18% rispetto alla media calcolata dall’Istat nel terziario)». I giovani impiegati nei call center stanno  assistendo, impotenti,  ad una sempre maggiore riduzione del loro già misero salario o alla perdita del posto di lavoro. Lo denuncia la Cgil: «lo spostamento delle commesse all’estero da parte di Wind, Tim, H3g, Vodafone, Telecom, Fastweb, Sky e Alitalia ha portato alla perdita di 9 mila posti di lavoro, dal settembre 2009 ad oggi. il settore è passato in un anno da 75mila a 67mila addetti e ora altri 13 mila sono a rischio. La crisi ha colpito maggiormente il meridione e le Isole, ma la precarietà attuale non risparmia nessuno».

 

Giovanna Fraccalvieri