Qualche giorno fa se ne è andato Lucio Magri; ha fatto le valigie, ha concluso le sue “questioni in sospeso” e s’è deliberatamente gettato fra le braccia di quella morte che cingeva le sue spalle ingrigite da tempo, che la notte si sedeva sulla sua pancia, che aveva preso l’abitudine d’occupare nel letto matrimoniale il posto della donna d’una vita.
Una fine ponderata – C’è tanto da dire, ora, sulla morte di un uomo che non solo ha scelto il decesso come cura definitiva al suo mal di vivere, ma che ha deciso di legittimare questa sua volontà. Lucio Magri ha ponderato la sua fine, ha disseminato lettere di congedo lungo il tragitto percorso in settantanove anni e se ne è andato in Svizzera, dove il suicidio assistito è legale non solo per i malati di tumore e di SLA, ma anche per coloro che soffrono di depressione. Inutile dire quanto sia ancora alto il polverone che ha sollevato la faccenda. Insieme alla sua morte sono arrivate le puntualizzazioni di chi anche in certe situazioni trova opportuno elargire perle d’alto valore morale. Un evento che doveva avere luogo in sordina è divenuto, quindi, «un atto amaro che non va associato ad una scelta di libertà .», come sottolinea Eugenia Roccella del PDL. Sono giunte parole dure, oltre che del PDL, anche dall’UDC; ci si diverte ad amalgamare insieme una sorta di rispetto sgomento e del biasimo difficile da celare, insomma. Dalla parte di Magri si schierano i Radicali, Mina Welby e Beppino Englaro. Ci si divide in squadre, insomma. Si patteggia. I “pro-life” in curva nord e i “pro-choice” in curva sud.
La libertà come responsabilità – Stare qui a dire cosa sia giusto e cosa sia sbagliato non sarebbe solo sciocco, sarebbe abominevole. Provare a risolvere un problema etico come si risolverebbe un’equazione algebrica è un’idea aberrante. Il fatto è che nella vita è difficile compiere atti o prendere decisioni universali. Lucio Magri non voleva scatenare un dibattito d’ordine morale, non voleva essere il baluardo della libertà di scelta, voleva morire e basta. La Roccella è padronissima di sostenere ad libitum che un atto amaro non vada associato ad una scelta di libertà, ma che ci si ricordi che la libertà non è un sogno romantico e utopico che somiglia alla sensazione del volo, all’odore dei fiori di campo o al completo svincolamento dal reale. Essere liberi è, anzitutto, una grossa responsabilità e non vuol dire assolutamente essere felici o prendere solo decisioni che non rientrino nell’ambito degli “atti amari” .
“Soffri e muori senza parlare” – «Niente pubblicità, niente funerali, niente necrologi. Vorrei evitare cerimonie pubbliche, rimembranze, etc…», aveva specificato Lucio Magri. Voleva una morte silenziosa, che passasse quasi inosservata. Un traguardo stoico, quello del giornalista, che ha deciso di uscire dalla vita in silenzio dopo aver, in un certo senso, compiuto il suo “dovere”; la morte non è che un male apparente, o almeno così credevano i pensatori della Stoà. Viene in mente, in questa sede, il Lupo di una poesia di Alfred de Vigny (“La morte del lupo”, n.d.r.), che, in circostanze del tutto diverse e per motivi differenti da quelli di Lucio Magri, s’offrì al proprio destino storicamente, senza proferire un fiato. A volte è meglio crogiolarsi sul fondo di una poesia piuttosto che cimentarsi in disquisizioni etiche partendo dal presupposto d’avere ragione. “Se tu puoi, fai che la tua anima arrivi, a forza di restare studiosa e riflessiva, fino al più alto grado di stoica fierezza, dove, nascendo nei boschi, io sono subito giunto. Gemere, piangere, pregere, è ugualmente vile. Compi con forza il tuo compito lungo e difficile nella via dove il Destino t’ha voluto chiamare, poi dopo, come me, soffri e muori senza parlare.”. Addio, Lucio.
Martina Cesaretti