Decapitazione. In Arabia Saudita, nella provincia settentrionale di al-Jawf, è stata decapitata per i reati di “magia” e “stregoneria” Amina bint Abdul Hamid bin Salem Nasser. Nonostante il taglio della testa rappresenti una pena obsoleta per la maggior parte dei Paesi in cui vige la pena di morte, in Arabia Saudita viene ancora praticato. Nel corso del 2011, prima dell’esecuzione di Amina, si era assistito infatti, nella città di Medina, alla decapitazione, sempre per stregoneria, di un sudanese che, in realtà, si era “reso colpevole” di aver denunciato il fatto di essere stato costretto a confessare sotto tortura e al quale era stata negata la difesa da parte di un avvocato.
Esecuzioni. In Arabia Saudita la Sharia viene interpretata in modo molto rigido e ciò determina una larga applicazione della pena di morte. Le esecuzioni avvengono tramite impiccagione, lapidazione e decapitazione, condanna quest’ultima, maggiormente “in voga”. Diversi sono i reati che possono condurre alla pena capitale: omicidio, stupro, rapina a mano armata, narcotraffico. Sono condannati a morte inoltre, coloro che vengono accusati di omosessualità, rapina su autostrada, stregoneria, adulterio, sabotaggio ed apostasia.
Morte di Stato. In Arabia Saudita nel 2011 sono state eseguite 79 condanne a morte, nel 2010 27 e nel 2009 67. Il record però, è stato raggiunto nel 1995 quando furono uccise dallo Stato 191 persone di cui, più della metà, erano di nazionalità straniera. Amnesty International denuncia le tantissime esecuzioni determinate dall’iniquità dei processi nel Paese Arabo dove agli imputati è stata negata molte volte la difesa da parte di un avvocato. Tragica la situazione degli immigrati, soprattutto di coloro che provengono dal Medio Oriente, dall’Africa e dall’Asia; spesso non vengono informati della conclusione del processo e del fatto di essere destinati alla pena capitale. Si sono verificati, addirittura, alcuni casi in cui i detenuti hanno scoperto di essere stati condannati a morte solo quando sono stati portati nel luogo dell’ esecuzione.
Morte dei diritti. Diritti umani e dignità della persona vengono sistematicamente disattesi nel Paese arabo. Ancora oggi si assiste al vergognoso spettacolo di un condannato a morte trascinato in un cortile davanti a una moschea dove gli vengono legate le mani e viene fatto inginocchiare ai piedi di un boia, pronto a decapitarlo con la spada sguainata, davanti a una folla eccitata che urla “Allah Akbar” (“Dio è grande“).
Moratoria. Lo denunciano organizzazioni, come Nessuno tocchi Caino che, da anni, lotta contro la pena di morte. Anche Amnesty International si sta mobilitando per porre fine a questa situazione chiedendo una moratoria sulle esecuzioni in Arabia Saudita. Questo Paese infatti, è l’unico ad aver respinto, circa un anno fa, la risoluzione dell’assemblea generale dell’Onu che riguardava una moratoria sulle esecuzioni in tutto il mondo.
Giovanna Fraccalvieri