Come innamorarsi di Edvard Munch senza fermarsi a “L’Urlo”

Edvard Munch è stato sicuramente uno dei pittori più “problematici” degli ultimi due secoli. Viscerale ma cerebrale, angosciato ma lucido, Munch dipingeva il disagio della compagnia che si faceva da solo, la paura di non potersi emancipare dalla propria condizione d’individuo particolare oltre che d’essere umano, la disperazione amorosa nelle sue declinazioni più carnali, il dolore.

L’opera di successo – Sono molti gli artisti la cui immagine pubblica diviene vittima della propria opera di maggior successo: così come Giacomo Leopardi viene ricordato dai più con un respiro annoiato che rimanda a “L’Infinito”, che ha smesso di essere un capolavoro nel momento in cui siamo stati costretti ad impararne i versi a memoria, così la figura del norvegese Edvard Munch è spesso collegata solo al celebre “Urlo”. Opera indubbiamente densa di significato, ma d’un significato che deve essere spiegato e che non si rivela al fruitore da sé, l’ “Urlo” è tutto ciò che la maggior parte delle persone è in grado di ricordare quando si parla di Munch.

“L’Urlo” – Partiamo dal principio. Cosa rappresenta l’ “Urlo”? Quel quadro racconta un passaggio della vita dell’artista, che tanto ha cercato di trovare il modo giusto per narrare con i propri pennelli l’angoscia senza eguali che avvertì un giorno mentre passeggiava nei pressi di un attuale quartiere di Oslo. Il dipinto è, a tutti gli effetti, lo splendidamente riuscito racconto di un attacco di panico in piena regola. “Sentivo che un grande urlo infinito pervadeva la natura.”, scrisse Munch sul proprio diario al seguito di tale episodio. L’ “Urlo” è un’opera intensissima, grandiosa, che merita il successo che possiede; il problema è, però, che tale meraviglioso quadro è riuscito a fare terra bruciata attorno a sé, e a far sì che le altre opere di Munch si ritrovassero prigioniere all’interno della sua ombra.

L’opera nell’ombra – Nel giorno dell’anniversario della morte di questo grande pittore, che se ne andò il ventitre gennaio del 1944, si potrebbe fare un regalo a sé stessi ancor prima che alla sua memoria, e andare a cercare qualche altra opera che il suo genio disperato donò al mondo. Ci sono donne bellissime dai lunghi capelli rossi ed eteree ragazze dalla chioma bionda che sono state, da molti, ignorate per troppo tempo. C’è da scoprire il senso di quel sole che si riflette sul mare e che somiglia tanto ad una “i” in stampatello, c’è da comprendere il significato degli scheletri che incorniciano le figure di Adamo ed Eva che si incontrano in un quadro dall’arduo titolo di “Metabolismo”. Innamorarsi di Munch è facile se si riesce a superare lo scoglio dell’ “Urlo”. È facile anche lasciarsi intenerire da quanto di non ermetico c’è nei suoi dipinti, dalla sua angoscia, dalla sua voglia di escludersi dal mondo quasi come pensasse a sé come ad un ospite sgradito. Guardiamo negli occhi l’uomo che ci osserva dall’ “Autoritratto a Bergen” del 1916; è lui quello dell’ “Urlo”, lui quello dell’attacco di panico, lui quello che implora d’essere guardato da un lato e prega d’essere ignorato dall’altro.

M.C.