Corea del Nord: internamento fisico e della parola per i fuggitivi

Campi d’internamento. Dittatura dura in Corea, anche dopo la morte del Caro Leader Kim Jong Il e il passaggio di potere a suo figlio Kim Jong Un.  Il regime reclude nei campi di lavoro non solo coloro che sono stati accusati di non aver partecipato al dolore per la scomparsa del Caro Leader o di aver criticato le scelte politiche del suo erede,  ma anche chi viene sorpreso in procinto di fuggire dal Paese e, per questo, viene considerato disertore.

La fuga. La Corea del Nord versa in una situazione economica molto difficile, a questo va aggiunta la totale mancanza di libertà che porta, inevitabilmente, molti dei suoi abitanti a cercare la fuga. Sembra che già in circa 23mila abbiano abbandonato la Patria per fuggire in Corea del Sud. Altra meta agognata è la Cina dove, almeno le condizioni economiche, sono migliori.

Pena di morte. Come già detto, l’epilogo per chi viene sorpreso mentre tenta la fuga,  è rappresentato dai cosidetti campi di lavoro, detti anche campi di internamento o di rieducazione. Per i recidivi inoltre, c’è il rischio di incorrere nella pena capitale.

Il miraggio negato. È proibito persino sognare un mondo diverso, esemplare in tal senso la questione dell’albero di Natale tra le due Coree.  Altrettanto indicativo è il fatto che tutti i canali di comunicazione, da internet alla televisione, sono sottoposti a un rigido controllo.

Parola imbrigliata. Il regime però, non pago del proprio potere sulla televisione e su internet, intercetta  anche le telefonate, allo scopo di punire chi si lamenta per le condizioni di vita nel proprio Paese. Vanno scongiurate soprattutto conversazioni di questo tipo con chi vive all’estero, conversazioni che, da un lato, potrebbero arrecare un danno all’immagine “immacolata” della Corea del Nord e, dall’altro, potrebbero “mettere strani grilli per la testa” ai coreani, desiderosi di fuggire lontano dalla propria Patria.

Giovanna Fraccalvieri