‘Ndrangheta, spinta al suicidio dai parenti

Doveva ritrattare le sue dichiarazioniMaria Concetta Cacciola, pentita della ‘ndrangheta e collaboratrice di giustizia aveva subito maltrattamenti e minacce dai suoi parenti affinché ritrattasse quanto dichiarato ai magistrati, relativamente ai fatti di sangue avvenuti nell’ambito della faida tra la cosca dei Cacciola e quella dei Bellocco. La donna si era presentata spontaneamente nel maggio del 2011 alle autorità dimostrando la propria volontà di collaborare in cambio di un programma di protezione attivato nel luglio 2011.

Intercettazioni telefoniche – Le intercettazioni svolte dagli inquirenti sia nei confronti della collaboratrice di giustizia che dei suoi familiari più stretti, hanno confermato non solo le versioni date dalla Cacciola sulla faida tra le due cosche, ma anche le forti pressioni e minacce che la donna subiva dai parenti con i quali era rimasta in contatto, nonostante il programma di protezione. Il 9 agosto 2011 chiese di poter tornare nella sua casa di Rosarno, seppur consapevole del rischio al quale andava incontro, e il 17 agosto comunicò ai carabinieri di voler continuare a collaborare, rinunciando però alla protezione.

L’operazione “Califfo” – Il 20 agosto la donna è stata ricoverata d’urgenza per aver ingerito acido muriatico che le ha poi provocato la morte. Oggi l’arresto del padre, della madre e del figlio della vittima con l’accusa di concorso in maltrattamenti in famiglia, violenza e minaccia che l’avrebbero indotta al suicidio.

Marta Lock