Picchiata a morte. Haima Alawadi, una 32enne di origine irachena, residente a El Cajon, in California, è stata trovata dalla figlia 17enne nel bagno della sua abitazione, in una pozza di sangue. Inutile la corsa in ospedale, dove i medici hanno subito riscontrato la morte cerebrale e, attorno alle 3 del mattino, hanno deciso di spegnere le macchine che la mantenevano artificialmente in vita. Ma chi ha picchiato a morte la giovane madre? La risposta sembrerebbe all’interno di un bigliettino trovato affianco alla donna morente.
«Torna al tuo Paese, sei una terrorista». Questo il messaggio rinvenuto dalla figlia di Haima quando l’ha soccorsa. La donna, una «muhajiba» rispettosa, come l’ha definita una sua amica, sarebbe stata vittima di una brutale aggressione determinata da motivi di odio razziale o religioso. Forse l’hijab, il tradizionale velo musulmano, quotidianamente indossato da Haima, potrebbe aver scatenato l’insofferenza di qualche xenofobo paranoico.
La famiglia è sotto shok. Nessuno poteva immaginare una tale ferocia: Haima è stata colpita più volte con un arnese di ferro, probabilmente una chiave inglese. La donna era sola a casa, il marito era uscito per accompagnare i figli più piccoli a scuola. Pare che un messaggio di avvertimento fosse stato recapitato alla famiglia alcune settimane fa, si era pensato però, ad uno scherzo di cattivo gusto e, per questo, l’episodio non era stato denunciato alla polizia.
Perché? La figlia 17enne che ha trovato la madre in fin di vita a casa, è stata invitata ad una televisione locale dove, rivolgendosi alla telecamera, ha voluto esprimere il suo profondo dolore agli assassini: «Mi avete tolto mia madre, mi avete tolto la mia migliore amica. Perché? Perché fate questo?» Haima era tutt’altro che una terrorista. Suo marito, da tempo immigrato negli USA, avevano lavorato in passato come mediatore culturale per l’esercito americano, con il compito di istruirlo sulla cultura islamica prima della partenza per le “aree calde” Mediorientali. Evidentemente, ciò non è stato sufficiente per accettare la presenza di “quella straniera”.
Giovanna Fraccalvieri