Gods of Metal, Guns N’ Roses – Il “day two” del Gods of Metal ha visto protagonisti come headliner i Guns N’ Roses. Pur non essendo più la band che in un passato ormai lontano ha conquistato milioni di fans, i nostri hanno sfoderato comunque un’ottima prestazione. Ma andiamo con ordine. La giornata ha inizio in mattinata con Cancer Bats e Axewound: le loro sono state esibizioni molto brevi e scivolate via tra l’indifferenza dei presenti, sia per l’orario infelice (dalle 10 alle 11), sia per il gran caldo che già si faceva sentire. A seguire gli Ugly Kid Joe, la band scioltasi nel 1997 e riformatasi nel 2010: i 30 minuti concessi hanno mostrato però un combo in piena forma e carico al punto giusto.
Le ore del pomeriggio – Max Cavalera ed i suoi Soulfly sono stati una bella alternativa per chi ha voluto trascorrere l’ora di pranzo in compagnia dei propri idoli. La scaletta ha spaziato da brani dei Soulfly, alle ovvie “Refuse/Resist” e “Roots Bloody Roots” dei Sepultura: il carisma di Cavalera non si discute e la performance sul palco è stata convincente. E’ il momento della band di Los Angeles dei Rival sons. Il loro è un rock con chiare influenze anni ’70 molto curato e raffinato, peccato soltanto che il ritardo accumulato li costringa ad un taglio di scaletta. Si rimane in America con i successivi Black Stone Cherry: una performance energica tutto cuore, con pezzi in scaletta che vanno da “Yeah Man” al cavallo di battaglia “Blind Man”, ottimi apripista per l’arrivo imminente dei Killswitch Engage.
Il gran finale – Con i Killswitch Engage si riscalda l’atmosfera del festival: la carica è potente e la band picchia duro. Il ritorno di Jesse Leach ha ridato nuova linfa al gruppo che si muove a proprio agio sul palco. La conclusiva “Holy Diver” di Ronnie James Dio è un omaggio al grande singer scomparso prima di vedere all’opera Sebastian Bach. Per il cantante canadese ex-Skid Row subito un contrattempo: il microfono non funziona sulle linee vocali del primo pezzo “Slave to the Grind”, falsa partenza e si ricomincia da capo. La voce è sempre squillante come ai vecchi tempi, la band precisa dal punto di vista tecnico ma eterogenea dal punto di vista visivo. Tra ballate e pezzi rocciosi in puro stile Skid Row, Sebastian e la band salutano tra gli applausi. Tempo di voci femminili ed atmosfere sognanti, arrivano dall’Olanda i Within Temptation con le loro melodie e la voce della bellissima Sharon Den Adel. Per il combo olandese una scaletta che attinge dai loro pezzi più belli, una prestazione che non ha lesinato energie, ma forse gli spettatori erano un pò distratti dall’imminente arrivo dei Guns N’ Roses e non hanno goduto appieno dello show comunque ben fatto dei Within Temptation. Alle 22 in punto scocca l’ora di Axl e soci. La nuova formazione non fa gridare al miracolo per coesione e tecnica, ma la band, capitanata da un Axl Rose in forma scintillante, sa come stare sul palco e le oltre tre ore di concerto testimoniano un ottimo stato di grazia. Immancabili le esecuzioni di brani storici quali “Sweet Child O’Mine”, “Civil War”, “November Rain” e “Don’t Cry”, con la voce del poliedrico leader ancora in grado di emozionare schiere di fans. Tra cambi d’abito, assoli dei tre chitarristi e giochi pirotecnici si giunge alle conclusive “Patience” e “Paradise City”. Animali da palcoscenico a tutto tondo, i Guns N’ Roses, almeno ieri sera, hanno spazzato via ogni dubbio e scetticismo sulla qualità in sede live della nuova formazione.
R. A.