Attentato al generale Dalla Chiesa trent’anni dopo

Qui è morta la speranza dei palermitani onesti. Questo scrivevano trent’anni fa, durante i funerali del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, i “civili” di Palermo interpretando il dolore non solo di una città o di una ragione, la Sicilia, stritolata dalla mafia; bensì dell’Italia tutta. Contro uno Stato troppo vicino agli “affari di famiglia” e distante dai suoi uomini si ergono i palermitani ai quali è toccato assistere all’ennesima strage di mafia, quella che ha coinvolto Dalla Chiesa, la giovane moglie Emmanuela Setti Carraro e un uomo della scorta, l’agente Domenico Russo. Succedeva la sera del 3 settembre 1982 in via Carini: una strage di mafia in piena regola, arma utilizzata un kalashnikov che ha crivellato di colpi le tre vittime designate.

I cento giorni del Generale, tanto durò la lotta di Dalla Chiesa alla mafia in quel di Palermo dopo essersi speso contro le Brigate Rosse. L’uomo aveva denunciato, durante un’intervista a Giorgio Bocca, la sua ultima intervista per la precisione, uno Stato assente mediante queste precise parole: “Un uomo viene colpito quando viene lasciato solo.” Raccapricciante pensare che la medesima frase sarà pronunciata pochi anni dopo, da un altro simbolo della lotta alla mafia, Giovanni Falcone. Quanti lazzi e inchini alla commemorazione odierna in quel di Palermo da parte dei politici convenuti, gli stessi lazzi di trent’anni fa, quando hanno presenziato numerosi ai funerali facendo i conti con una folla inferocita che ben ricordava la denuncia del Generale contro l’abbandono dello Stato.

Valeria Panzeri