Venezia 2012: Malick convince a metà

Terrence Malick fa sbarcare la sua ultima opera, To the wonder nel concorso della sessantanovesima mostra del cinema di Venezia così come un alieno potrebbe atterrare al centro di Park Avenue nell’ora di punta. Roba da restare basiti con la faccia all’insù e un grande punto interrogativo disegnato nello sguardo. Ed è proprio lo sguardo, quello del regista santone e mito, il grande colpevole di un film che la critica ha accolto con tanti fischi quanti applausi. Un’opera sull’amore che si dimentica della trama e si concede, o per meglio dire si apre, alla riflessione, al desiderio perverso di filmare l’indicibile e invisibile e in questo senso To the wonder si configura come un possibile seguito della ricerca cosmica iniziata con The tree of life, il film che gli aveva portato la palma d’oro nel festival di Cannes di un anno fa.

E questo cinema dell’assenza, assenza anche del regista che come al suo solito si è guardato bene dall’accompagnare la sua opera, alla fine ha stancato anche lo spettatore più disponibile, precipitando in un vortice di incomunicabilità che probabilmente condannerà la pellicola a un’ammirazione distante, la stessa che si accorda alle opere che non si capiscono ma che in un modo o nell’altro si percepiscono grandi. Personalmente avevo trovato il precedente film del regista uno splendido campionario di salva schermi per computer a cui ogni tanto seguivano brandelli di una storia che non riuscivano mai, e probabilmente nemmeno lo volevano, a farsi quadro. Qui le interpretazioni di un cast all star che va da Ben Affleck a Rachel McAdams, al di solito strepitoso Javier Barden, sono sacrificate in nome di un progetto più ampio. In nome di una ricerca del divino che subito si fa vergogna per tale pensiero. Malick torna e non convince. Come quando si scopre di aver assistito a un grande bluff.

Simone Ranucci