“Schiavi urbani”. Quella dello schiavismo non è una realtà lontana che, trasmessa da un film storico o dai libri di scuola, saltuariamente bussa al nostro mondo incantato. Basta affacciarsi nelle metropolitane o nelle strade di una grande città per vedere con i propri occhi esseri umani ridotti alla schiavitù, uomini e donne costretti dai loro aguzzini a trascorrere le proprie giornate ad elemosinare.
Disabili svenduti. Persone già tradite dalla vita, perché nate con gravi disabilità. Persone doppiamente tradite perché vendute dai propri parenti per poco più di 40-50 euro, ad aguzzini senza scrupoli, pronti a strumentalizzare quell’handicap per impietosire i passanti e indurli a fare l’elemosina.
Come una bestia. È il caso di Cocana, la donna 31enne che si vede camminare gattoni nel video, colpita da un grave handicap alle gambe. Una menomazione che l’ha trasformata in una preziosa fonte di reddito, prima per la sua famiglia, che l’ha venduta per duemila euro, e poi per i suoi nuovi “padroni” che hanno speculato sulla sua invalidità.
La banda. È successo a Milano, dove la polizia locale, dopo un anno di indagini coordinate dal pm Antonio Sangermano, ha sgominato una banda composta da 12 rom romeni colpevoli di aver ridotto in condizioni di schiavitù 32 loro connazionali di età compresa tra i 20 e i 75 anni. I criminali sono sotto custodia cautelare per associazione a delinquere e riduzione in schiavitù aggravate dalla transnazionalità e dal fatto che le vittime sono disabili. Le 32 vittime del racket dell’elemosina, invece, sono attualmente ospitate in un centro della Protezione civile.
Maltrattamenti. Le vittime, già gravemente menomate fisicamente, erano relegate nei luoghi più malsani di un campo nomadi sito nella periferia ovest di Milano. Picchiati, minacciati e ridotti alla fame, “gli schiavi dell’handicap” dormivano su materassi umidi e sfondati, in mezzo alla spazzatura e ai topi. Costretti a chiedere l’elemosina, anche sotto le intemperie, per 10/12 ore al giorno e con indosso pochi vestiti strappati, gli invalidi ricevevano come pasto qualche patata lessa e, se lavoravano bene, un ala di pollo, ma non tutti i giorni perché bisognava essere denutriti per fare pietà.
“O la borsa o la vita”. Controllati a vista dai loro padroni, i mendicanti dovevano sperare che la propria disabilità impietosisse i passanti in modo tale da poter racimolare una cifra minima giornaliera di 30 euro necessaria a soddisfare le tasche dei loro aguzzini. In caso contrario li aspettavano botte e sevizie.
Milioni di euro. Il capo dell’organizzazione criminale, il 40enne Ibram «Lahu» Saba, dirigeva da anni un traffico di vite umane che si muoveva dalla Romania verso l’Italia. Un business dello sfruttamento che permetteva alla “brutta cerchia” di guadagnare cifre da capogiro, dell’ammontare di qualche milione di euro l’anno e al capo clan di farsi costruire una «villa a Medgidia, vicino Costanza, molto grande» come ha dichiarato uno dei mendicanti che ha avuto il coraggio di denunciare i suoi aguzzini. Un vergognoso giro d’affari che si cela dietro al bambino malnutrito che tende la mano, al disabile mendicante, alla persona piegata dalla malattia e dalle sevizie. Un giro d’affari che viene alimentato ogni volta che ci si lascia prendere dalla compassione e si cede all’elemosina.
Sistema malato. Che fare, allora? Fingere di non guardare, abbassare lo sguardo e lasciare che quelle persone vengano seviziate perché colpevoli di non aver portato un “guadagno” sufficiente ai loro carcerieri? La soluzione, in realtà, è una sola: denunciare, segnalare e pretendere che si intervenga, com’è accaduto in questa occasione, per cambiare un sistema malato, in cui troppo spesso si assiste, sonnolenti, al vergognoso show dello schiavismo.
Giovanna Fraccalvieri