“Una maggiore flessibilità lavorativa”, “ristrutturazione nel sistema di contrattazioni”, “aumentare le opportunità di entrare nel mercato di lavoro”: sono alcune delle proposte presentate dalla Banca di Spagna nella sua prima relazione annuale. Eufemismi che nascondono una grossissima riforma lavorativa in cui si prevede l’abbassamento del salario minimo, oppure la possibilità di portare avanti al più presto l’attuazione dello slittamento a 67 anni di età per andare in pensione.
Luis María Linde, presidente dell’entità finanziaria, ha reso pubbliche queste iniziative a fine maggio: “La riforma del lavoro del PP non ha aiutato finora a creare impiego”, si giustifica. È proprio per evitare ancora delle nuove perdite che dalla Banca spagnola si propone quest’iniziativa così audace in cui si abolisce l’accordo collettivo dei lavoratori. Per Linde, “il tasso di disoccupazione ha raggiunto tassi inaccettabili”. Dato che secondo i dati dell’Agenzia per l’impiego nel 2012 ha aumentato la durata media della disoccupazione per più di dieci mesi, rispetto ai cinque mesi del 2007, essendo “particolarmente” alto nei gruppi di età più avanzata e di livello di istruzione più basso. Per cui secondo lui, anzi secondo l’entità, l’abolizione del salario minimo (645,30: già tra i più bassi della zona Euro), favorirebbe il flusso di lavoratori e creerebbe nuovi posti di lavoro.
Si prevede che tutto ciò venga messo in pratica nei prossimi messi, giacché “è fondamentale per accelerare il recupero della perdita di competitività dell’economia e porre le basi per un’ulteriore crescita”. Pur essendo vero che la riforma avrebbe un carattere di eccezionalità, è una misura piuttosto controversa nonché palesemente contestata dal popolo dato che i quadri della stessa banca ricevono degli stipendi notevoli. Ad esempio il medesimo Luis María Linde ne ha preso uno di 81.320 euro al mese durante il primo semestre a capo dell’istituzione, cioè un totale di 21 volte il salario minimo ancora in vigore. Un dato che è stato riferito in un numero praticamente illimitato di commenti sui social network: da Twitter, in cui il tag #Salariominimo2013 è diventato trend topic, a Facebook, ai siti dei giornali in cui si sono scatenate delle discussione lunghissime.
Una ingiustizia che colpisce di nuovo chi meno lo dovrebbe meritare, i singoli lavoratori che stanno vedendo scomparire gran parte dei diritti acquisiti lungo tutti gli anni di democrazia. Mentre la inflazione continua a salire i salari non smettono di diminuire.