Turchia, la violenza della polizia e gli arresti per un Tweet

A cavallo tra laicità europea e spinte di stampo integralista musulmano, la Turchia si trova a vivere una delle fasi più intense e drammatiche della propria storia. A partire dalla manifestazione indetta contro la demolizione del parco di piazza Taksim (una delle più vaste aree verde di Istanbul) che dovrebbe far spazio a un ponte sul Bosforo (portando quindi una decisa cementificazione), la Turchia è diventata lo scenario di una delle più forti proteste di massa della storia recente: una protesta costante, frattanto, considerando che i manifestanti continuano a presidiare la piazza di giorno e di notte.

Una protesta che è divenuta basilarmente una espressione del forte dissenso popolare contro il governo di Recep Tayyip Erdogan, fautore (a detta di molti turchi, specialmente più giovani) di una islamizzazione dello stato turco che tende a collidere con le abitudini e i costumi di una consistente parte degli abitanti del paese, decisamente più occidentalizzati.

E così lo scontro è divenuto generazionale (banalizzando all’estremo, Erdogan vorrebbe più moschee, meno alcol e rendere vietate le effusioni in pubblico) e si è trasferito anche sul piano del ‘virtuale’, con il premier turco pronto a mettere all’indice Twitter, Facebook e in assoluto i social network, arrivando a dichiarare: “I migliori esempi di menzogne si possono trovare su Twitter per me, i social media sono la peggior minaccia alla società”; come spesso accade in questo periodo (e non solo in Turchia), le piattaforme sociali vengono prese come esempio di pericolo quasi anarcoide e si tenta quindi di impedirne l’accesso, com’è accaduto in Turchia in questo periodo, rallentando la rete o arrivando ad arrestare le persone colpevoli di socialnetworking (è di ieri la notizia di 24 arresti per un Tweet, a Smirne).

Di fatto, sono giorni ormai che – in tutte le città dello stato – i turchi stanno manifestando in maniera decisa il proprio dissenso e la risposta dell’apparato repressivo dello stato non si è fatta attendere: la polizia turca sta esprimendo tutto il proprio potenziale di violenza, causando in questi giorni di proteste (e di scontri, chiaramente) oltre duemila feriti e addirittura tre morti. Viene denunciato da Amnesty International (come si può costantemente vedere su questa pagina) l’uso di una smoderata violenza da parte delle forze di polizia e, soprattutto, l’uso dei proiettili di gomma, che possono causare la perdita della vista o anche danni più gravi.

Proprio alla violenza delle forze dell’ordine è dedicato un blog, Turkish Police Brutality, che vi consigliamo di consultare (a patto che siate disposti a confrontarvi con materiale decisamente ‘forte’): potrete rendervi meglio conto (meglio che consultando i disinformanti siti di informazione ufficiali) della gravità della situazione turca e, soprattutto, della gravità delle azioni delle forze armate turche. Giusto per fare un esempio, riportato dal blog: “La polizia turca sta andando in giro con coltelli da kebab (coltelli parecchio lunghi). Girano con loro alcuni ragazzi simpatizzanti dell’AKP (partito di governo, ndr). E picchiano le persone che stanno filmando”.