IL BUROCRATESE: Secondo la definizione della Treccani, dicesi burocratese “il linguaggio inutilmente complicato ed ermetico in uso nella pubblica amministrazione”. Tutti, in Italia, abbiamo avuto a che fare più o meno quotidianamente con questa vera e propria piaga sociale. Da sempre i linguisti e letterati italiani cercano di tamponare il problema: già nel 1830 Giuseppe Dembsher pubblicò a Milano un “Manuale, o sia la guida per migliorare lo stile di cancelleria”. Da qui parte la lunga battaglia che, passando per il famoso articolo di Calvino “l’antilingua”, arriva fino ai giorni nostri.
Di recente, due notizie praticamente uscite in contemporanea, hanno dato bene la misura di una vera e propria guerra in atto: da un lato, ha fatto scalpore l’abrogazione, da parte dell’ex ministro Patroni Griffi, della cosiddetta “norma Bassanini”, promulgata nel 2001, che obbligava i dipendenti pubblici ad usare un linguaggio chiaro e sintetico. Dall’altro lato, ad opera del dizionario Zanichelli, è uscito “l’antiburocratese”, ovvero un “Un dizionario del parlar chiaro, rubrica in rete diretta da Massimo Arcangeli, dell’Osservatorio della lingua Italiana Zanichelli”; uno strumento, insomma, che vuole aiutare innanzitutto gli italiani a capire cosa diavolo vorrà mai il direttore delle poste; e magari anche i dipendenti pubblici a usare una lingua più chiara (ma potrebbero tranquillamente farcela: basta scrivere la lingua quotidiana).
Il linguaggio oscuro della burocrazia rappresenta un problema serio di democrazia, dopo la possibilità di accesso all’informazione, viene il problema della comprensibilità: deve essere chiara per tutti, se no siamo punto e a capo. Il problema esiste anche nell’opera-monumento della lingua italiana moderna: i Promessi Sposi. Quando Renzo va dall’Azzeccagarbugli, questo tira fuori formule latine e non, in modo che Renzo non capisca. Lo stesso fa Don Abbondio per rifiutarsi di celebrare il matrimonio. insomma, questo problema, che tutti conosciamo bene in patria, si ripresenta, moltiplicato, a livello dell’Unione Europea, dove traduttori e giuristi italiani tentano di far passare nella nostra lingua i documenti originali scritti, il più delle volte, in inglese.
LA REI: La Rete di Eccellenza dell’italiano Istituzionale è nata nel 2005 a Bruxelles grazie ai traduttori italiani della Commissione Europea. L’idea che li ha spinti a creare questo ente è semplice: essendo i documenti europei scritti in altre lingue, già la traduzione in sé crea dei problemi di chiarezza; se a questo aggiungiamo la tendenza italiana al burocratese diventa impossibile per i cittadini italiani comprendere e partecipare. I membri della REI, italiani e svizzeri, si propongono di
- promuovere l’armonizzazione dei linguaggi specialistici, in particolare in ambito istituzionale
- favorire la convalida incrociata di terminologia e di neologia
- condividere banche dati terminologiche
- attivare una linea diretta tra esperti e rappresentanti di tutte le istanze.
Nel “Manifesto per un italiano istituzionale di qualità” sono elencate le intenzioni e i metodi da utilizzare secondo la REI per arrivare a questo nobile obbiettivo. Ma l’italiano non è parlato solo in Svizzera e in Italia; vi sono realtà trascurabili, come San Marino, e vi sono paesi come la Repubblica di Croazia e la Repubblica di Slovenia, dove l’italiano è tra le lingua più parlate e riconosciute. I traduttori sloveni e croati hanno dichiarato di sentirsi isolati nel loro quotidiano lavoro di trasposizione in italiano delle normative delle rispettive amministrazioni.
INGRESSO DELLA CROAZIA IN UE: Ora che anche la Croazia fa parte dell’unione europea, però, la cooperazione tra professionisti nel campo della redazione e della traduzione di testi istituzionali può includere anche loro. Ecco perché, nei giorni scorsi la Rei ha dedicato una giornata di studi sul tema “L’italiano oltre confine. Lingua istituzionale e di comunicazione in altri paesi europei”, nelle sede della Rappresentanza della Commissione Europea a Roma.
Della Slovenia si sono occupati Metka Malcic e Natale Vadori dell’Università del Litorale e Nada Zajc, traduttrice del Comune di Pirano; della Croazia Tea Batel, collaboratrice dell’Assessorato Comunità italiana e altri gruppi etnici della Regione istriana, Ivana Lalli Pacelat, dell’Università di Pola, Silvio Forza, direttore editoriale della Edit. Nel pubblico anche il noto giornalista, nativo di Spalato, Enzo Bettiza. L’iniziativa ha attirato l’attenzione dei rappresentanti ufficiali dei due Paesi: per la Slovenia era presente il Primo segretario dell’Ambasciata, Gregor Pelicon, per la Croazia, l’ambasciatore in persona, Damir Grubiša.
Sono emersi molti problemi pratici posti dalla standardizzazione dell’italiano per le istituzioni croate e slovene: spesso, mancano scelte unitarie. Per esempio, quello che in Italia è il “consiglio comunale”, a Pola, Rovigno e Umago è il “Consiglio municipale”, mentre a Buie è il “Consiglio cittadino”. Vi è dunque la necessità impellente di sviluppare un processo di continuità con le formulazioni in uso nelle altre istituzioni dei paesi nei quali l’italiano è lingua istituzionale, a cominciare dall’Italia.
Ma non è possibile, né sarebbe intelligente, trasporre automaticamente denominazioni e abitudini linguistiche da un Paese all’altro. L’obiettivo è, quindi, certamente quello di portare l’italiano istituzionale a un elevato livello qualitativo, ma anche quello di preservare le specificità strutturali slovene e croate, cioè le specificità della realtà che anche i cittadini italofoni di quelle regioni vivono quotidianamente. In altre parole: quei cittadini italofoni hanno un uso linguistico consolidato differente dagli italiani e dagli svizzeri: imporre loro un uso “straniero” non porta certo a una maggiore chiarezza.
Insomma il problema del burocratese è sentito profondamente anche a livello sovranazionale, e anzi, proprio per quel che riguarda i documenti europei diventa ancora più preoccupante, e con più forza va combattuto. Ovviamente, però, come lo Stato italiano non agisce nei suoi confini – anzi come abbiamo visto sembra incoraggiare la distanza linguistica tra popolo e istituzioni – tantomeno agisce al di fuori. Fortunatamente il prestigio, l’intelligenza e la relativa indipendenza dei traduttori italiani nella Commissione Europea hanno preso le contromisure, dal basso. Si potrebbe forse arrivare al paradosso che per leggere un verbale dei carabinieri a Roma, serva un Notaio, mentre sarà del tutto accessibile il linguaggio di documenti europei di ben altra importanza politica, sociale e economica…