Caso kazako, la verisone di Alfano: Nessuno nel governo sapeva

Angelino Alfano

I “colpevoli” della cattiva gestione del “caso Ablyazov”, che tanto imbarazzo sta creando all’Italia, non devono essere cercati all’interno del governo. E’ quanto è tornato a dire ieri il maggior “indiziato”, il vicepremier Angelino Alfano, nel discorso pronunciato prima al Senato e poi alla Camera. L’intervento del ministro dell’Interno ha preso le mosse dalla relazione che il capo della Polizia, Alessandro Pansa, gli ha consegnato ieri e si è concluso con l’annuncio di una “riorganizzazione” del dipartimento di Pubblica sicurezza.

Prima che Alfano raggiungesse Palazzo Madama per riferire sul “pasticciaccio” kazako, il capo di gabinetto del suo dicastero, Giuseppe Procaccini, aveva già rassegnato le sue dimissioni. Una mossa sufficiente a far comprendere che le responsabilità della maldestra operazione che ha condotto all’espulsione di Alma Shalabayeva e di sua figlia sarebbero state ricondotte principalmente a lui. E, infatti, quando Alfano è ieri giunto al Senato: “Sono qui a riferire – ha esordito – su una vicenda della quale non ero stato informato, della quale non era stato informato nessun collega del governo e non era stato informato il presidente del Consiglio”.

Una puntualizzazione con cui il responsabile dell’Interno ha sostanzialmente messo in chiaro da subito che l’ipotesi di sue dimissioni ventilata dalle opposizioni (Sel e M5S) non poteva essere presa in considerazione. Quindi il vicepremier ha letto ampi stralci della relazione consegnata dal capo della Polizia, Alessandro Pansa, insistendo sui misunderstanding che avrebbero portato all’allontanamento forzato delle due cittadine kazake. “In nessuna fase della vicenda – ha riferito Alfano – i funzionari italiani hanno avuto notizia che il ricercato (Ablyazov, ndr) fosse anche un dissidente politico nel suo Paese. In nessun momento è pervenuta o è stata individuata negli archivi di polizia informazione che ne rilevasse lo status di rifugiato“.

Non solo: “Alma Shalabayeva e i suoi legali – ha aggiunto il ministro dell’Interno – non hanno mai presentato domanda di asilo, pur avendone la possibilità. Anzi, la cittadina kazaka non ha mai detto di possedere un permesso di soggiorno rilasciato dai Paesi Schengen”. Da qui l’errata deduzione, da parte degli alti funzionari italiani che avrebbero gestito autonomamente l’operazione, che si trattasse di un regolare procedimento di espulsione, del quale non era necessario mettere a conoscenza il ministro.

“È evidente che nella prassi non esisteva obbligo di informazione al ministro sia perché si trattava di un’espulsione ordinaria sia perché non vi era consapevolezza che il marito dell’espulsa fosse un dissidente – ha rimarcato Alfano – Va di converso detto che l’attenzione di un altro Paese così evidente e tangibile avrebbe dovuto rappresentare elemento di attenzione tale da far valutare l’opportunità di portare l’evento a conoscenza del ministro stesso”. Nella relazione consegnata da Pansa viene, infatti, precisato che almeno due elementi avrebbero dovuto insospettire i funzionari, ovvero: “l’impegno diretto dell’ambasciatore kazako nell’operazione e l’utilizzo di un volo non di linea per il rimpatrio delle due cittadine kazake”.

Il discorso di Alfano ha oscillato, insomma, tra omissioni di responsabilità (personali) e oblique accuse di sottovalutazione da parte dei suoi “inferiori”. E ha alla fine indicato dei “colpevoli”: “Ho chiesto al capo della Polizia e al capo del dipartimento di Pubblica sicurezza – ha annunciato il vicepremier – una riorganizzazione complessiva, a cominciare dal dipartimento immigrazione. Perché è grave la mancata informativa al governo sull’intera vicenda. Dobbiamo lavorare perché ciò non accada mai più – ha sottolineato Alfano – Ho accettato le dimissioni del mio capo di gabinetto e proposto l’avvicendamento del capo della segreteria del dipartimento”.