Nessuna sfiducia per Angelino Alfano che, dopo la rovente mattinata di votazione al Senato, rimane saldo alla guida del ministero dell’Interno. La mozione di sfiducia presentata da Sel e Movimento 5 Stelle contro di lui ha incassato solo 55 voti favorevoli, mentre a bocciarla sono stati ben 226 senatori. Un risultato tondo per Alfano e per il premier Enrico Letta, che si è speso personalmente chiedendo alla maggioranza di rinnovare la fiducia al suo governo.
Ma la giornata è stata contrappuntata da avvenimenti insoliti. Durante la dichiarazione di voto, il capogruppo del Movimento 5 Stelle, Nicola Morra, è stato infatti destinatario di un anomalo richiamo da parte del presidente Pietro Grasso. Quando il “cittadino” 5 Stelle ha fatto riferimento alle parole pronunciate ieri da Giorgio Napolitano sul caso kazako: “Non sono ammessi riferimenti al capo dello Stato – è intervenuto prontamente il presidente del Senato – lasciamolo fuori da questa querelle”.
Un “rimbrotto” che Grasso ha riservato esclusivamente al “pentastellato”, ma non ai molti senatori (e al premier Letta stesso) che nel corso del dibattito hanno ampiamente citato le parole scandite ieri dal presidente della Repubblica. E altrettanta “prontezza” il numero uno di Palazzo Madama ha dimostrato quando Morra, nel passaggio finale del suo intervento, ha chiesto all’aula di ricordare Salvatore Borsellino, nel giorno dell’anniversario della strage di via D’Amelio.
Uno “svarione” che è stato tempestivamente denunciato da Pietro Grasso: “Noi dobbiamo ricordare Paolo Borsellino – ha sottolineato l’ex togato – Non credo che Salvatore Borsellino sia ancora nelle condizioni di essere commemorato”.
Ma a calamitare l’attenzione di tutti è stato il senatore del Pd, Felice Casson. Nei giorni scorsi, il democratico non aveva fatto mistero dei suoi scetticismi sulla vicenda kazaka e si era spinto a definire la relazione che Angelino Alfano aveva letto alle Camere: “una mezza barzelletta”. La riunione di ieri con i dirigenti del suo partito lo aveva però persuaso ad “allinearsi” e nel discorso pronunciato stamattina in aula aveva puntualizzato: “Solo il vincolo di partito mi impone di votare contro la mozione di sfiducia”.
Un orientamento sbugiardato dai fatti: quando Casson è passato davanti al banco della presidenza per annunciare il suo voto ha, infatti, scandito un convinto “sì” guadagnandosi, tra l’altro, gli applausi dei senatori di Sel e del Movimento 5 Stelle. Ma il “colpo di scena” è arrivato poco dopo la seconda chiama, quando il democratico ha chiesto alla presidenza di intervenire: “Chiedo scusa per l’errore che ho fatto e, ovviamente me ne assumo la responsabilità – ha spiegato Casson – Passando sotto il banco della presidenza io ho detto sì, ma si è trattato di un errore, come risulta anche dal testo del mio intervento di stamane. C’è stato un fraintendimento – ha rimarcato il senatore del Pd – Ho detto sì in risposta alla richiesta del premier Letta di rinnovare la fiducia al suo governo e dunque il mio voto deve intendersi come no”.