Calma apparente nel governo: il Pd incalza Alfano

Alfano Letta

 

A “bocce” ormai “ferme”, è possibile tornare con maggiore tranquillità a quanto accaduto ieri al Senato. L’espulsione di Alma Shalabayeva e della piccola Alua dall’Italia ha (come è ormai noto a tutti) “terremotato” apparati e partiti, investendo con particolare violenza il governo. La mozione di sfiducia presentata da Sel e Movimento 5 Stelle contro Angelino Alfano ha, per un attimo, fatto tremare i polsi al premier Enrico Letta. Se il suo vice fosse stato sfiduciato, si sarebbe verosimilmente aperta una voragine nella quale il suo esecutivo si sarebbe inabissato.

Del resto che Angelino Alfano non sia un ministro qualsiasi è chiaro a tutti. La presenza del segretario del Pdl nella squadra trainata da Letta (nella doppia veste di vicepremier e ministro dell’Interno) è la prova lampante di come il governo delle “larghe intese” abbia preso il via da una sorta di contrattazione “blindata” da Pd e Pdl. La “caduta” di Alfano avrebbe innescato meccanismi insidiosi, che avrebbero finito per mandare all’aria il patto governativo costringendo, quasi certamente, il presidente del Consiglio e i suoi ministri a fare gli scatoloni.

Nonostante l’ipotesi delle elezioni spaventi in fondo tutti, infatti, è difficile pensare che se Angelino Alfano fosse stato ieri sfiduciato, non ci sarebbero state conseguenze. Per questo, alla vigilia della votazione di ieri al Senato, il presidente della Repubblica in persona (rimasto fino ad allora clamorosamente silente sul “pasticcio kazako”) è intervenuto con forza “sconfessando” chiunque avesse attentato alla tenuta del governo.

Lo speech pronunciato ieri in aula dal presidente del Consiglio è stato, poi, l’ultimo tassello del puzzle. Ovvero l’estremo appello alle forze della maggioranza a non sfiduciare Angelino Alfano per consentire al suo governo di sopravvivere. In quest’ottica, le “fibrillazioni” registratesi per lunghe ore all’interno del Pd (che si è mostrato ancora una volta diviso) hanno impensierito non poco il premier. La scelta finale dei democratici di “graziare” il titolare del Viminale gli ha fatto tirare un sospiro di sollievo, ma le acque si sono veramente calmate?

La risposta potrebbe essere rintracciata nelle parole che il capogruppo del Pd al Senato, Luigi Zanda, ha pronunciato ieri durante le dichiarazioni di voto. Dopo aver confermato il pieno sostegno al governo e ribadito la necessità di fare comunque chiarezza sulla vicenda kazaka, il democratico ha, infatti, concluso: “Chiedo al ministro Alfano se non sia utile, da parte sua, valutare se nelle 24 ore della sua giornata ci sia abbastanza spazio per la segreteria del suo partito, per gli incarichi di ministro dell’Interno e della vicepresidenza del Consiglio?”. 

Come dire che il Pd (che ha ieri consentito al governo di rimanere a galla) si aspetta dal segretario del Pdl un gesto forte, un segno di “gratitudine”. Se  Alfano decidesse, però, di non rinunciare ad almeno uno dei suoi tre attuali incarichi, il terreno sotto il governo potrebbe presto tremare di nuovo, spazzando via quell’aria di “calma apparente” che da ieri sembra essere tornata nei pressi di Palazzo Chigi.