Prima l’ennesima “blindatura” del governo, poi l’esplicito riferimento al “caso Berlusconi”. L’attesissimo pronunciamento del capo dello Stato sulla condanna in via definitiva del Cavaliere è giunto ieri sera, poco prima delle ore 20,00, e ha costretto le redazioni dei tg a rimodulare la trasmissione dei servizi già confezionati.
La lunga nota vergata da Giorgio Napolitano è diventata, infatti, la breaking new a cui tutti hanno guardato con febbrile interesse, relegando in secondo piano gli altri fatti della giornata. Nell’incipit l’inquilino del Colle è tornato a ribadire l’importanza di proseguire con l’azione di governo e di insistere sulla via delle riforme (da quelle istituzionali a quella elettorale): “Solo così – ha scritto Napolitano – si può accrescere la fiducia nell’Italia e nella sua capacità di progresso”.
Ma la parte più “succosa” della sua dichiarazione – quella che tutte le forze politiche, Pdl in testa, aspettavano con ansia – è stata quella relativa alla sentenza emessa lo scorso 1 agosto dalla Corte di Cassazione di Roma nei confronti di Silvio Berlusconi. “Di qualsiasi sentenza definitiva, e del conseguente obbligo di applicarla – ha messo in chiaro il presidente della Repubblica – non può che prendersi atto“.
“In questo momento è legittimo che si manifestino riserve e dissensi rispetto alle conclusioni cui è giunta la Corte di Cassazione, nella scia delle valutazioni già prevalse nei due precedenti gradi di giudizio – ha concesso Napolitano – ed è comprensibile che emergano, soprattutto nell’area del Pdl, turbamento e preoccupazione per la condanna a una pena detentiva di personalità che ha guidato il governo e che è per di più rimasto leader incontrastato di una formazione politica di innegabile importanza”.
“Ma nell’esercizio della libertà di opinione e del diritto di critica – ha chiarito subito dopo il capo dello Stato – non deve mai violarsi il limite del riconoscimento del principio della divisione dei poteri e della funzione essenziale di controllo della legalità che spetta alla magistratura nella sua indipendenza”.
Parole che hanno smentito ogni avventuristica ipotesi riguardo alla possibilità che il Quirinale finisse per “sbugiardare” quanto stabilito dai giudici e recentemente confermato dalla Cassazione, ingaggiando un improbabile quanto inopportuno “braccio di ferro” con la magistratura.
Nessuno spiraglio, dunque, per il Cavaliere condannato? Non proprio. “Negli ultimi anni, nel considerare, accogliere o lasciar cadere sollecitazioni per provvedimenti di grazia – si legge ancora nella nota diffusa ieri dal Colle – si è sempre ritenuta essenziale la presentazione di una domanda. Ad ogni domanda in tal senso, tocca al presidente della Repubblica far corrispondere un esame obbiettivo e rigoroso per verificare se emergano valutazioni e sussistano condizioni che, senza toccare la sostanza e la legittimità della sentenza passata in giudicato – ha precisato Giorgio Napolitano – possono motivare un eventuale atto di clemenza individuale che incida sull’esecuzione della pena principale”.