Accademia del Sacro, alla vigilia della chiusura dei lavori intervista alla Dottoressa Raffaella D’Amico

Incredibile. Davvero incredibile.

Siamo all’interno del laboratorio di restauro dell’ Accademia del Sacro; il luogo è pieno di fascino: dentro e fuori. Cominciamo da fuori. Una vista mozzafiato che dalle Calabrie va oltre l’Etna per perdersi nel mare lontano di Siracusa ed un ex monastero basiliano del 1600; appollaiata su un picco, domina la scena la rocca saracena che dall’800 (IX secolo) sovrasta il territorio taorminese.
Entriamo nel monastero. Oggi è la prestigiosa sede dell’Accademia del Sacro Impresa Sociale, realtà nata nel 2012 e che si occupa di formazione nell’ambito della tutela e della divulgazione del patrimonio culturale ecclesiastico. In particolare, a luglio scorso si è avviato un cantiere scuola di manutenzione della statua originale in cartapesta della Madonna della Rocca cui il sito è dedicato.
Dal primo giorno ad oggi, vigilia della chiusura di lavori, oltre 1500 turisti hanno visitato il laboratorio: dall’Europa all’Asia, dalle Americhe all’Australia. Da tutto il globo e di tutte le religioni.
Eppure: incredibile, davvero incredibile, lo stupore di tutti questi “pellegrini” di fronte alla statua. Cristiani cattolici ed ortodossi – fin qui nulla di strano – ebrei e musulmani, persino scintoisti ed atei, tutti, indistintamente, hanno mostrato, di fronte a Maria ed al Bambino in cartapesta, un senso del rispetto accompagnato ad un pudore che li portava improvvisamente ad abbassare il tono della voce e, in alcuni casi, a sussurrare parole incomprensibili che suonavano di preghiera ed, ancora, a segnarsi con delicato frullare di mani e dita.

Miracoli dell’arte; evangelizzazione attraverso essa.
Chi, più di tutti, ha vissuto l’esperienza di questo cantiere divenuto melting pot di culture e religioni diverse, è la dottoressa Raffaella D’Amico, responsabile del laboratorio.
La incontriamo mentre è impegnata con le ultimissime operazioni prima di consegnare la statua alla comunità taorminese.

Il volto della Madonna è splendente così come quello del Bambino. Sembra davvero respirare l’anima della madre di Dio; luce e amore brillano nel vetro marrone degli occhi.

D: Dottoressa, quasi 2000 persone non si possono ricordare una ad una, ma qualcuno dei visitatori che l’abbia particolarmente colpita durante il lavoro sulla statua con domande o atteggiamenti?
R: Nessuno, in particolare; quasi tutti per lo stupore di fronte alla scoperta della materia di cui è fatta, la cartapesta.

D: Qual è la sua esperienza di restauratrice plastica?
R: Le prime opere a venirmi in mente sono il Satiro Danzante, al cui restauro ho preso parte e del quale sono diventata “accompagnatrice” e curatrice nei viaggi all’estero; l’ “Edicola”, unica statua in bronzo di Renato Guttuso; ed ancora il cavallo in bronzo che accoglie i visitatori della sede RAI di Roma. Più in generale, la mia esperienza ha spaziato da piccoli oggetti in avorio, ossa e ambre provenienti da scavo archeologico, a manufatti in ceramica, materiali lapidei, stucchi e bronzi, sia archeologici che storico-artistici, anche di grandi dimensioni.

D: Quindi il primo soggetto religioso ed il primo in cartapesta. Differenze tra questa ed i metalli.
R: Le differenze sono sostanziali, e riguardano la natura propria dei manufatti. A questo bisogna aggiungere la ‘’storia’’ che è propria di ognuno di essi: com’è stato fruito, l’epoca a cui risale e la sua conservazione; la somma di tutti questi fattori ne determina la “salute”. Un bronzo proveniente da uno scavo, marino o terrestre che sia, può, in certi casi, presentarsi fragile esattamente come un manufatto cartaceo vissuto in un ambiente saturo di umidità: ad esempio la nostra Madonna.

D: In termini di tempo, quante ore ha richiesto l’intervento?
R: L’intervento è stato prevalentemente conservativo. Sono state effettuate cioè quelle operazioni minime ed indispensabili affinché si potesse bloccare il degrado in cui versava il manufatto, per renderlo fruibile dalla comunità. In tutto ci sono voluti tre mesi di intenso lavoro.

D: Patrimoni culturali a rischio: è così anche per quello della Chiesa?
R: Nonostante la Chiesa sia più attenta e vigile al proprio patrimonio, la quantità di beni culturali che possiede è enorme e con una dislocazione tale da rendere difficile il controllo capillare.

D: Abbiamo scritto dell’emozione del pubblico. E le sue di emozioni?
R: Ogni lavoro nuovo è come una prima volta: una sfida carica di timore per la responsabilità che ci si assume, timore che si stempera durante la fase di studio sulle problematiche contingenti, con i test che si effettuano per mettere a punto il metodo migliore da applicare e le soluzioni più idonee al caso. La soddisfazione finale è riguardare la documentazione fotografica di com’era l’opera prima dell’intervento e sentire i commenti di chi la ricordava nello stato precedente.