Terra dei fuochi: Findus chiude ai prodotti campani

Terra dei Fuochi

 

L’economia di una vasta zona rischia di crollare rovinosamente trascinando con sé lavoratori che faticano (più degli altri) a resistere alla crisi. Ci riferiamo alla ex Campania Felix, oggi tristemente nota come la “Terra dei fuochi”, diventata da qualche mese emblema di illegalità e contaminazione.

A pagarne le conseguenze sono stati soprattutto gli agricoltori, i cui prodotti sono ormai considerati inacquistabili da molti importanti operatori. Come il colosso dei surgelati Findus, che ha categoricamente tagliato ogni rapporto commerciale con i produttori del casertano e del napoletano (da Mondragone a Licola, da Capua a Nola), inserendo i loro ortaggi in una black list impossibile da stracciare. Ma non è andata molto meglio neanche agli altri agricoltori campani che, se vorranno ancora lavorare con la Findus, dovranno munirsi di una valutazione di rischio ambientale e di una certificazione che attesti lo “stato di salute” dei loro prodotti al momento della raccolta. A conclusione di una serie di analisi e verifiche che costano mediamente 1.500 euro (totalmente a carico degli agricoltori).

La “diffidenza” tradita dalla Findus rischia di fare scuola. Anche la nota catena di supermercati MD Discount (molto radicata nel Sud d’Italia) ha ultimamente alzato il livello di allarme e ha esplicitamente chiesto ai produttori ortofrutticoli di presentare un’autocertificazione in cui si precisi che gli articoli forniti non sono di origine campana. “Tale richiesta – si legge nel documento diffuso dalla catena di supermercati – è frutto della cattiva pubblicità che i media hanno sollevato in questo momento particolarmente critico, con riferimento alla situazione Terra dei fuochi”.

A mostrare una certa solidarietà è stata, invece, la Coop che, pur non trascurando il rischio di poter acquistare prodotti contaminati, ha deciso di accollarsi i costi di analisi e verifiche scrupolose che hanno finora dato esito negativo: “Tutti i campioni analizzati, sia di vegetali edibili, che di acque e terreni – è stato comunicato – sono risultati a norma di legge per i tenori di metalli pesanti, Pcb, diossine, radioattività”. A dare il là al valzer della diffidenza nei confronti dei prodotti della Terra dei fuochi è stata la pubblicità lanciata lo scorso mese di novembre dalla Pomì, in cui veniva evidenziata la provenienza – rigorosamente dal Nord Italia – dei pomodori utilizzati per ottenere la nota passata.

Della difficile situazione – che rischia di mettere in ginocchio un intero comparto e di affossare l’economia di una zona già vessata dalla camorra – ha deciso di occuparsene anche la Regione Campania che, insieme a Confindustria e all’Istituto zooprofilattico sperimentale del Mezzogiorno, ha chiesto aiuto alla tecnologia. E ha messo a punto un’applicazione per smartphone, denominata “Qr-Code-Campania” che consentirà ai consumatori più allarmati (e circospetti) di verificare di persona la salubrità del prodotto che intendono acquistare. Basterà, infatti, avvicinare il loro smartphone al codice a barre dell’articolo che stanno per mettere in carrello per ottenere informazioni sulla provenienza e sui risultati delle varie analisi a cui è stato sottoposto.